lunedì 2 aprile 2007

Dell’olio che sa di rosmarino e dell’aragostina al bar

Angelo Peretti
Questa volta voglio raccontarvi dell’olio che sa di rosmarino, e poi dirvi di Imma e del Capitano Milano e delle sirene e di Peppe e delle aragostine e insomma di Sorrento.
Ci son tornato per il second’anno di fila a Sorrento, in occasione del Sirena d’Oro, concorso oleario. L’anno passato a ritirare un premio come giornalista, stavolta a far da relatore a un convegno. Fortuna.
L’olio, prima di tutto. Quello della Penisola Sorrentina. Si chiama così la denominazione d’origine protetta di Sorrento e degli oliveti che gli stanno attorno. Lo cavano dalle olive di minùcciola, varietà autoctona, una delle sessanta e più della Campania. E sa di rosmarino. E d’altre erbe officinali.
L’oliveto qui talvolta è a strati, come un tempo, ché il tempo sembra essersi fermato in certi lembi di collina dove il turista non approda. Sotto ci sono gli ortaggi, e dove non c’è ortaggio cresce la felce - l’umidità avvolge tutto di notte, prima che il sole s’alzi a rinnovare il regno mediterraneo - e il trifoglio e l’ortica e il prezzemolo selvatico che ha odore forte e fascinoso. Lo strato dopo, ecco la vigna, per averne poco vino asprigno. Più sopra ho visto il nespolo e il limone e l’arancio. Poi l’olivo che svetta e il mandorlo e il noce. E c’era odore forte di noce nell’oliveto di Imma.
Imma è un bella donna dai capelli ricci. Che guida spigliata una macchina sportiva e ama la sua terra e ti racconta di musica partenopea e del mare e di psicologia. E fa olio. Lo fa la sua famiglia, i Gargiulo. Marchio Sorrentolio. Non proprio a Sorrento, ma in collina, a Sant’Agnello. Sogna, lei, una vetrata che dal frantoio consenta al visitatore di vedere il mare e l’oliveto e i giardini d’agrumi. Spero la facciano, quella vetrata, ché varrebbe la pena veder da una parte estrarre l’olio e dall’altra il terroir suo nativo.
Ora l’olio, il dop di Sorrentolio, l’unico fatto in penisola nell’annata ultima del 2006, ché la mosca olearia s’è portata via troppo raccolto. Ma l’unico sopravvissuto è buono, credetemi. E spero di tornare ancora l’anno prossimo e provare anche gli altri.
Stavolta racconto questo, dunque, dei Gargiulo. E dico innanzitutto che ha limpido e brillante color giallo che sfuma tenue nel verde.
Al naso ha fruttato direi leggero e aromi officinali: il rosmarino, appunto, e poi il timo e la salvia, sottilissimi. E s’avverte anche l’alloro in foglia. E poi nuance floreali, o forse confettate. E anche, inconsueto, inusuale, un che resinoso di cipresso.
La bocca, adesso. Apre amara, con note d’erbe campestri e cardo e carciofo. C’è piccantezza fresca e quasi acidula in avvio (ricorda la rughetta colta in montagna), eppure non invadente. Vira con lentezza sulla vena dolce, tattilmente dolce, e ancora sulla foglia di salvia.
Del rosmarino ho detto, di Imma pure e del suo olio. Ora tocca al Capitano, e anch’egli ha passione olearia.
Parlo del Capitano Luigi Milano, che è stato comandante davvero, di nave mercantile, e ora segue la promozione dell’agricoltura sorrentina.
Ha baffone da comandante, stazza da comandante, parlare da comandante riflessivo eppure deciso (ma ti parla ossequioso col voi, come s’usa da queste parti). Gli manca solo la pipa e mi ricorderebbe quella canzone di Francesco de Gregori: «Il Capitano non tiene mai paura, dritto sul cassero fuma la pipa, in questa alba fresca e scura, che rassomiglia un po' alla vita». E me lo vedo, in questo ritratto.
Ama dirti della Sorrento del Grand Tour, l’itinerario romantico che facevano gl’inglesi e i mitteleuropei e che ancora adesso sostiene i flussi del turismo. E si commuove, il Capitano Milano, quando vede che altri amano l’olio delle sue terre. Delle terre di penisola sorrentina, terrazzate da lunghe fatiche di generazioni di contadini. Ha lacrima facile quando prevale il sentimento.
È lui, il Capitano, che fa da perno ed anima al concorso della Sirena d’Oro, che mette in fila gli oli dop d’Italia ed ha reputazione buona, assai, ché il panel di degustatori è valido. E ti domanda se davvero il concorso potrà far crescere l’immagine dei dop e magari dei dop sorrentini. E io rispondo che sì, continuando con la passione che ho conosciuto e perseverando nel sogno, ecco, il successo non può mancare. Avanti, Capitano, ché la strada è quella giusta.
Peppe anche lui è pieno di domande (e di dubbi, anche) sull’extravergine e sulla promozione e sulla valorizzazione. Ma io da Peppe Aversa ci ho trovato solo grandi risposte. Concrete. In tavola. Ché lui è maestro di cucina, e se vi capitasse di passare da Sorrento, non fatevi scappare l’occasione d’una sosta beata al Buco, il suo ristorante, accanto al municipio. Strameritatamente stellato dalla Michelin, credetemi.
Ci ho mangiato lo scorso anno e anche questo, e spero proprio di tornarci ancora, ché la sua è una delle cucine più buone che mi sia capitato in sorte di conoscere. Cucina di classe ed eleganza, eppure anche di semplicità. Com’è semplice il suo stile, il suo approccio. Stile che in cucina sa d’armonia, di nitore. Pulizia di profumi e sapori. Consistenza avvolgente. Gran posto, il ristorante Al Buco, gran posto. Conferma della leadership della Penisola Sorrentina nella ristorazione di qualità.
Ora, le aragostine. E mi tocca riparlar di Imma, ché è stata lei a condurmi fino a Sant’Agata sui Due Golfi, seguendo gli oliveti. Lì, m’ha accompagnato in un bar che fa pasticceria. Mica un locale di quelli eleganti: un posto da paese. Si chiama Bar Fiorentino. Dice il biglietto: «Bar - pasticceria & gelateria. Lavorazione propria. Nozze - battesimi - ricevimenti». E ci ho incontrato le aragostine, che sono uno dei dolcetti più fragranti e ghiotti che mi sia trovato a tastare (ho fatto il bis e il tris e sono arrivato - confesso - a sei pezzi, alla faccia delle calorie).
Sono di fatto, queste aragostine, un’interpretazione locale delle sfogliatelle. Scrocchiano sotto i denti. Ma poi sembrano quasi farsi evanescenti, impalpabili. E avverti la crema, che però non ha stucchevolezza zuccherina. E il tocco d’amarena. Un piccolo capolavoro d’equilibrio: passaste di lì, siete avvisati.
E insomma, ho trovato un altro gioiellino di questa penisola. Che ammalia con le sirene e gli oli che san di rosmarino e il pesce freschissimo e l’aragostina e il prezzemolo selvatico e il limone. E ci si fa un liquore famoso - lo sapete - con quel limone. E un altro col finocchietto. Ma queste sarebbero altre storie da narrare. E invece, per adesso, chiudo qui.

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