mercoledì 21 giugno 2006

Una modesta proposta: una sola doc per i Chiaretti del Garda

Angelo Peretti
È una mania dei politici. Ogni tanto escono fuori con una loro «modesta proposta». Pensare che l’origine della definizione è satirica. È stato nel 1729 che Jonathan Swift ha pubblicato il suo pamphlet «A Modest Proposal: For Preventing the Children of Poor People in Ireland from Being a Burden to Their Parents or Country, and for Making Them Beneficial to the Public», che sta per «Una modesta proposta: per evitare che i figli degli Irlandesi poveri siano un peso per i loro genitori o per il Paese, e per renderli un bene pubblico». Il succo era questo: ci sono tanti, troppi figli di poveri che pesano sulle famiglie avvitandole in uno squallore sempre più profondo? La soluzione – scriveva Swift, intingendo la penna nel veleno di fronte all’ignavia dei politici - è semplice: prendete i fanciulli, fateli ingrassare e dateli da mangiare ai proprietari terrieri. Così non ci saranno più bimbi denutriti, i genitori potrebbero prendere dei bei soldi dalla loro vendita e i ricchi avrebbero sempre carne fresca sulle loro mense.
Ora, se dico che anch’io voglio fare una mia «modesta proposta», capisco bene il rischio che corro. Ma ho un duplice vantaggio: non faccio politica e non mi occupo di bambini. Il che mi permette d’usare quest’espressione con un po’ più di leggerezza.
La mia «proposta» riguarda i Chiaretti che si fanno in riva al Garda. I vini rosati di cui ho detto nel mio precedente intervento su InternetGourmet. Ed è «modesta», questa proposta, perché non ci metto moltissimo del mio. Qualcuno ne ha parlato molto prima di me. Decenni fa. E so comunque che è un’ipotesi debole e che pochi se ne faranno convinti. Ma non m’importa: ne parlo lo stesso. Cocciuto.
La «proposta» è dunque questa: aboliamo le attuali doc del Bardolino Chiaretto, del Garda Classico Chiaretto, del Riviera del Garda Bresciano Chiaretto, del Garda Colli Mantovani Chiaretto. E al loro posto facciamone una sola di denominazioni: il Chiaretto del Garda. Con delle sottozone geografiche per le diverse aree «vocate». Una doc tutta e solo per il rosato, dunque.
Guardate: non è una bizzarria. C’è un caso analogo, importante. In Francia. È l’aoc, l’appellation, di Tavel, a pochi chilometri da Avignone. Ebbene: quella denominazione prevede solo la tipologia rosè. E sono grandi rosè.
Dicevo: non è tutta farina del mio sacco. Ci aveva già provato tanti anni fa Zeffiro Bocci. Che era un giornalista del vino. Un pioniere. Trapiantato a Verona.
Anni et annorum fa, Bocci, combatté una battaglia contro la doc del Garda Bresciano. Contestava che solo sulla riva lombarda del Benaco si potesse unire il termine Garda col nome Chiaretto. Garda Bresciano Chiaretto. Chissà come si sarebbe imbufalito quand’è nata anche la doc del Garda Classico Chiaretto.
Proponeva, Zeffiro, di creare invece una denominazione del Chiaretto del Garda che valesse per tutto il lago. Una doc che servisse – e cito le sue parole – a «designare i vini che si ottengono attraverso la vinificazione in bianco, sulle due opposte sponde del lago, distinte, a loro volta, con le sottospecificazioni geografiche Riviera bresciana e Riviera veronese». Battaglia persa, dicevo. Battaglia però attualissima, che voglio, molto modestamente, rilanciare.
Perché oggi una doc del genere sarebbe vincente sul mercato. Il rosato piace, e secondo me piacerà sempre di più per un bel po’ di anni. Ma rosato è termine generico, che accomuna tante e tante aree vinicole diverse. C’è un’unica zona in Italia dove si usa una definizione alternativa: è il lago di Garda, dove il rosato si chiama Chiaretto. È insomma, questo, un termine identitario, consolidato. Facilmente riferibile al Benacus lacus.
Eppoi, anche il nome Garda suona bene. Soprattutto sui mercati dove è più forte – ed in crescita – il mercato dei rosati: la Germania, l’Inghilterra, la Scandinavia, solidi, storici bacini d’utenza del turismo gardesano.
Si dirà: ma sul Garda veronese il Chiaretto si fa con la Corvina e la Rondinella, mentre di là spopola il Groppello. E sono uve diverse. Lo so bene. Ma vince l’uva o vince il terroir? Per me, il terroir. E il terroir in questione è univoco: il Garda, la terra dei vignaioli chiarettisti.
Semmai, differenziare per sottozone è un vantaggio. Avrebbe, questa doc rosata benacense, una sua rive gauche e una sua rive droit. La riva sinistra e la riva destra. Come nel bordolese, la terra delle grandi aoc rossiste. Per inciso: la riva destra sarebbe quella lombarda, la sinistra quella veneta, ma mica per questioni politiche: le coste d’un fiume, o d’un lago, si identificano mettendosi con le spalle verso il punto in cui l’acqua ha origine, tutto qui. Il lago «scorre» da Torbole verso Peschiera. Mettendosi in favor di corrente, a destra abbiamo la costa bresciana, a sinistra quella veronese.
Ergo, potrebbe esser più facile affermare un vino dalla peculiarità unica, il Chiaretto, dalla denominazione uniforme, «del Garda», di forte tipicità e tradizione, ed anche di possibile diversificazione stilistico-ambientale.
So che sono solo fantasie. E che mi scontrerò con la dura realtà dei campanili. Durissima.
Ma sono convinto che sarebbe un’opportunità per i vigneron del Garda. Che i rosati - pardon, i Chiaretti - li san fare.

venerdì 16 giugno 2006

It's time to drink Chiaretto

Angelo Peretti
Estate, caldo. Che vino mettere in tavola? Be’, se siete in riva al Garda, perché non provare col Chiaretto? Bere rosato è trendy. In Francia il rosè va alla grande. Sulle tavole dei ristoranti, di questi tempi, una bottiglia su due è rosa.
Eppoi sul Benacus lacus di Chiaretti ce ne son due, o anzi tre. Uno di sponda veneta, il Bardolino Chiaretto. Uno di riva bresciana, l’altro dei colli mantovani a ridosso del lago.
A dire il vero, la questione è anche più complicata. Ché per il Chiaretto di costa lombarda, fatto col groppello, la barbera, il marzemino e il sangiovese (di sicuro, però, pochi produttori eccedono col marzemino, uva che dà colore) ci sono ben tre denominazioni, ohibò: Garda Classico e poi, a scelta fra le due, Riviera del Garda Bresciano o Garda Bresciano. Cambia il nome, non però lo stile o l’uvaggio.
Il Chiaretto di sponda veneta è nella doc del Bardolino. Fatto con la corvina e la rondinella e per chi vuole anche altre uve rosse in piccole quantità, tant’è che qualcuno usa un cinque-dieci per cento di sangiovese. E la doc bardolinista prevede pure il Chiaretto in versione spumante. Che producono però in pochi: due soli, che io sappia.
Quanto al Garda Chiaretto Colli Mantovani, be’, quello quantitativamente è piccola, piccola cosa. E prevede, il disciplinare, che si usino merlot e cabernet e magari rondinella e altre uve a bacca rossa.
Quale preferire dei Chiaretti gardesani? Fate voi. Sappiate che in riviera d’occidente prevale spesso il sentore di fragolina (è il groppello) e in quella d’oriente di ciliegia (è la corvina). Entrambi, se ben fatti, han fiori e vegetalità in aggiunta. E una bella freschezza acidula. Talché lo puoi metter’in tavola con gli antipasti e i primi e i pesci e le carni leggere. Prosciutto e melone, caprese, riso freddo, primi con le verdure, lavarello (leggasi coregone per i lombardi) alla griglia, insalata di pollo.
Che sia veneto o lumbàrd, il Chiaretto viene comunque fatto con una pressatura soffice delle uve. Il mosto, poi, riposa insieme alle vinacce appena poco. Ma sulla vinificazione ci sono sulle opposte riviera diverse consuetudini. La tradizione vorrebbe l’uvaggio, ossia tutte le uve raccolte e pressate insieme. L’innovazione, per cercar finezza, preferisce raccolte e lavorazioni separate. vitigno per vitigno, e successiva cuvée dei vini che se ne traggono. Vince di gran lunga la formula più antica sulla riviera bresciana, predomina la via innovativa in terra veronese. Io sono per l’innovazione, che garantisce finezza e armonia ed eleganza maggiori, a mio avviso.
Più breve è poi in genere il contatto dei mosti con le bucce nell’area di Brescia. Si sappia che a seconda dell’uvaggio e del tempo di permanenza del mosto sulle vinacce si hanno differenti tonalità rosate.
Il Chiaretto bresciano dicono l’abbia inventato Pompeo Molmenti. Avvocato, insegnante di storia dell’arte, storico d’arguta penna, deputato e senatore del Regno, sottosegretario, sindaco, è finita che lo commemorano solo per il vino. In Valtenesi c’era arrivato da Venezia nel 1885, sposo di Amalia Brunati, undici anni più giovane di lui, erede di una ricca famiglia di Salò. A Moniga avevano quindici ettari di terra coltivata a vigna. Si racconta che l’intuizione – quella di fare il rosè, pardon, il Chiaretto - al Molmenti sia venuta durante un viaggio in Francia. A Parigi aveva apprezzato i rosati transalpini. Ne aveva approfondito le metodologie produttive. Tornato a casa, applicò la vinificazione «in bianco» alle uve e alla tradizione del posto. Il miracolo era compiuto. Era il 1896, ma il tutto è oggi avvolto nel mito, nella leggenda. E credo che alla fine sia solo questo: leggenda, appunto.
Sulla riva veronese il Bardolino in rosa si chiama Bardolino Chiaretto. Ma non ha padri certi né leggende il Chiaretto venetico. Non c’è un Molmenti, insomma, cui attribuirne la natalità. Ma è vino che ha estimatori, soprattutto in Germania. E ha un certo successo. Se ne fa, dicevo, pochissima quantità anche spumantizzata. E invece meriterebbe maggior attenzione. Personalmente, la trovo valida per accompagnare il pesce d’acqua dolce bollito o alla griglia. Volete far la prova? Procuratevi una trota salmonata di buona pezzatura (ne troverete tra l’altro di splendide negli allevamenti della Valdadige o del Basso Sarca). Cucinatela sulle braci (lentamente), oppure lessatela nel court bouillon, o anche, se volete, al sale. Poi servitela in compagnia col Bardolino Chiaretto spumante. Rosa con rosa: che accoppiata.
A dire il vero, ho una personale convinzione sull’origine dei Chiaretti gardesani. Ed è ragione storica. Ché a mio avviso i rossi di riviera in passato rossi lo erano poco. Cerasuoli, semmai. Rosati carichi, insomma. Colora poco il groppello su una sponda, s’usava la molinara, per nulla colorante, sull’altra. Su entrambe le rive c’era gran produzione per vigna, e anche questo favorisce ben poco il colore. Insomma: credo che il rosso del Garda fosse in passato quasi sempre un rosato. Di rosa intenso magari, ma rosa più che rosso. Ed ecco dunque che a questa coloritura i gardesani c’erano affezionati. Crescendo la qualità in vigna e in cantina, e imparando dunque i benacensi a far rossi colorati davvero di rosso, han voluto comunque preservare la loro consuetudine al rosato. Ideando il Chiaretto. I Chiaretti, meglio. E grazie al cielo che l’han fatto. Ché ce n’è di buono davvero.
Ma è ora di bere. E dò dunque qualche consiglio. Una decina. Fermandomi a una decina, equamente distinti fra le due rive, per evitar rogne di campanile. Più due spumanti bardolinisti.

IL CHIARETTO BRESCIANO
Riviera del Garda Bresciano Chiaretto 2005 Comincioli. Gianfranco Comincioli è uno dei più noti e nel contempo più discussi produttori del Garda, autore di vini di forte personalità, com’è il caso di questo Chiaretto 2005. La coloritura rosa sfuma sui toni della buccia di cipolla. Il vino ha corpo considerevole, capace di un affinamento ben più lungo della media dell’area, tant’è che i Chiretti di Comincioli sono buonissimi anche l’anno dopo. Il naso è dominato da ampi ricordi di piccolo frutto rosso, accompagnati da note erbacee. La bocca è tesa, pregna di vinosità e di memorie fruttate. Due lieti faccini :-) :-)
Garda Classico Chiaretto 2005 La Guarda. Situata nell’ultimo tratto dell’entroterra bresciano del lago di Garda, la piccola maison di Gigi Negri fa vini di notevole goduria: si bevono spensierati, e per di più costano poco poco. il Chiaretto è ormai stabilmente fra i migliori della zona. Di colore rosa che sfuma nel violetto, è giocato prevalentemente sulle memorie di fragolina tipiche delle uve del groppello, cui si sommano accattivanti note erbacee e delicati sentori floreali. La bocca è salina. Due faccini felici :-) :-)
Garda Bresciano Chiaretto 2005 Monteacuto. Antonio Leali ha la sagoma del contadino. E fa, appunto, il contadino, ma con moderno spirito. Ha progetti d’ampliarla la cantina, ma per adesso è garagista: due locali al pian terreno di casa, sulla collina di Monteacuto. Il suo Chiaretto è d’un rosato di media intensità, traversato da guizzi violacei. Impostato sulle note fruttate del lampone e della marasca e sui ricordi floreali di rosa, sopra una schietta vinosità. Finale lievemente mandorlato. Lieto il faccino :-)
Garda Classico Chiaretto Tenuta Maiolo 2005 Provenza.L’azienda di Fabio Contato & family sfoggia un Chiaretto che ha nella morbidezza l’elemento caratterizzante. Le vivide tonalità fior di pesco introducono un vino che offre sensazioni olfattive di fragolina, di caramella al lampone e di fiori bianchi, con cenni di vegetalità erbacea, sensazioni che tornano immediate anche al palato. In bocca la sottile vena di amabilità trova slancio in una snella freschezza. Due gaudenti faccini :-) :-)
Garda Classico Chiaretto 2005 Turina. Paolo Turina, presidente del consorzio di tutela della denominazione del Garda Classico, propone un Chiaretto che si connota positivamente per la pulizia del frutto e per la tensione d’assaggio, senza mai perdere di vista peraltro la facilità di beva. Di coloritura rosata che sfuma nel violaceo, ha le caratteristiche memorie fruttate di fragolina e lampone, ma anche con piacevoli note di ciliegia un po’ acerba. Da bere fresco nella sua giovinezza. Un faccino sorride :-)

IL CHIARETTO VERONESE
Bardolino Chiaretto 2005 Cavalchina. Luciano Piona e la Cavalchina. Binomio inossidabile sul Garda. O meglio, in entroterra, ché siamo a Custoza, colline moreniche. Qui Luciano fa il Custoza, appunto, bianco, e il Bardolino, rouge, in versioni sempre piacevoli e d’agile beva. Ed alla regola della piacevolezza s’iscrive anche il Bardolino Chiaretto, leggero già nel colore fior di pesco. Lievi le fragranze floreali e quasi erbacee che caratterizzano il bouquet. In bocca, ecco con maggior precisione i sentori di piccolo frutto e di ciliegia un po’ acerba. Due faccini felici :-) :-)
Bardolino Chiaretto 2005 Corte Gardoni. Gianni Piccoli, vignaiolo a Valeggio sul Mincio, non sbaglia un’annata. La sua gamma di Bardolino è sempre impeccabile, sia che si tratti delle versioni in rosso (mi piace il Superiore, tanto), sia che si assaggi il suo Chiaretto. D’un tenue colore rosa, il rosato è impostato sull’agilità di beva e sulla delicatezza della vena fruttata. Gli equilibrati ricordi di ciliegia e di lampone sono ulteriormente ingentiliti dalle fragranze di fiori bianchi. Due faccini in letizia :-) :-)
Bardolino Chiaretto Rodon 2005 Le Fraghe. Chi mi legge lo sa che mi piace lo stile bardolinista di Matilde Poggi. In passato aveva provato ad accantonare la versione rosata del Bardolino per dedicarsi solo a quella in rosso, ma ha dovuto immediatamente riprendere la produzione a furor di popolo. Il risultato giustifica la levata di scudi. Anche la versione 2005 si presenta esemplare nella tensione aromatica e nella piacevolezza di beva. Il tenue, delicatissimo colore del fiore di pesco introduce un Chiaretto dall’elegante presenze di piccolo frutto e di fragranze floreali. La bocca è fresca e nervosa, traversata da memorie erbacee. Due felici faccini :-) :-)
Bardolino Chiaretto 2005 Giovanna Tantini. Ed ecco l’altra lady del Bardolino. Giovanna Tantini, l’ho già scritto, rappresenta uno dei punti di riferimento più innovativi dell’area del Bardolino. Del new Bardolino, come lo chiamo io. Ha personalità esuberante, questo suo Chiaretto. Che veste una livrea d’un brillante e intenso rosa con riflessi quasi granati. Al naso emergono netti i sentori della ciliegia e del frutto di bosco, intrisi di fresche note vegetali. Al palato ha buona struttura. E freschezza di beva e persistente presenza di frutto. Buonissimo. Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Bardolino Chiaretto Classico 2005 Valetti. I Valetti stanno crescendo. Fanno del buon Bardolino, sempre meglio. Tradizionale, direi. Fresco, nervoso. È in linea il Chiaretto, impostato sull’agilità di beva, si presenta d’un colore rosato che vira verso riflessi quasi di rubino. Il naso sente il lampone e il ribes insieme a memorie vinose. La bocca è franca, la salinità in rilievo. Due faccini felici :-) :-)

IL CHIARETTO SPUMANTE
Bardolino Chiaretto Spumante Metodo Classico Monte Saline. Romano Giacomelli ha sempre avuto una passione: fare il Bardolino Chiaretto in versione spumante. Così ha continuato ad affinare la produzione. E questa volta, con la sboccatura 2006 del metodo classico, eccolo uscire con delle bollicine rosè veramente accattivanti. Di colore rosa di media intensità, il vino ha un perlage regolare e minuto e una piacevole cremosità. Olfatto e palato colgono tipicissime e delicate note di piccolo frutto (la fragolina in particolare). Due lieti faccini :-) :-)
Bardolino Chiaretto Spumante Metodo Charmat Costadoro. Anche Valentino Lonardi ha passione per lo spumante rosato. E fa addirittura – ed è l’unico e merita dunque l’applauso – tutt’e due le versioni, quella con la presa di spuma in bottiglia (leggi metodo classico) e quella in autoclave (s’usa dire Charmat). Io preferisco il Chiaretto Charmat, che è in genere fedele mio compagno dei piatti di sarde alla griglia che mi regalo quando le sardéne sono in fréga e se ne pescano a quintalate e piatti del genere per me non hanno paragoni. Rusticamente fruttato, è vino che va giù ch’è un piacere.- e costa pochissimo. Un ridente faccino :-)

mercoledì 7 giugno 2006

Fascinosi bianchi d’Alsazia

Angelo Peretti
I bianchi d’Alsazia li adoro. Quelli ben fatti, ovvio. Mica si può generalizzare. Ma garantisco che il fascino è grande, in certe bottiglie alsaziane. E invecchiano bene, anche. Benissimo. Di più: non è raro trovar nelle cantine migliori le vecchie annate in vendita. Una goduria.
Poi, i vignaioli d’Alsazia sono una razza a sé. Ci tengono alla loro terra, e questa non è prerogativa solo loro, d’accordo. Ma la curano come un giardino, davvero. Soprattutto li ho conosciuti come campioni d’ospitalità. Perché quand’entrate in cantina - che è poi spesso un garage, un appartamentino, a volte un sottoscala, ché i produttori che fan grandi fatturati non sono moltissimi - vogliono che i loro vini li proviate. Non solo non si mostrano ritrosi, ma vi spingono all’assaggio. Solo dopo, eventualmente, farete l’acquisto. Ah, se fosse così anche fra gl’italici vigneron!
E poi tutto in Alsazia parla di vino. Tutto, intendo, quel che incontrate lungo i centosettanta chilometri, ben segnalati, della strada dei vini, ai piedi dei Vosgi. In mezzo a vigneti quasi pettinati. Bellissimi. Ed è la vigna che vi spiega perché il vino è buono. Qui è là, ecco lacerti di bosco, paesetti fiabeschi, buone trattorie, campanili aguzzi e vetuste mura di cinta turrite.
Ora, la nostalgia dell’Alsazia e dei suoi vini m’è piovuta addosso in una delle città meno romantiche che conosca: Milano. Perché al Westin Palace, un gran bell’albergo a due passi dalla stazione centrale, Sopexa e il Conseil Interprofessionnel des Vins d’Alsace hanno allestito un wine tasting di valore. Con una trentina di produttori. Se fate conto che ciascuno aveva sette-otto etichette, vuol dire che c’erano almeno duecento vini in degustazione. Provarli tutti quanti in un pomeriggio era pressoché impossibile. Allora ho cercato - giocoforza - di far qualche selezione. Puntando soprattutto sui Riesling e sui Gewurztraminer, più qualche Pinot Gris, optando per quelli più secchi, che tradotto nel far vino alsaziano significa poi meno dolci. Scartando i Crémant, che son gli spumanti, in genere piacevoli, ma niente di più. E accantonando anche i Pinot Neri, che ho trovato, l’anno passato, in loco, di non grandissima espressività. Insomma, è stato autocensurandomi che son riuscito a costruire un percorso di degustazione. Devo dire che non me ne sono per niente pentito.
Ho trovato splendide conferme e - per me - belle novità. Di cui - in parte - qui sotto tento di dar conto. Facendo, ovviamente, sintesi, ché lo spazio non è infinito. Per cui di vini ne descrivo quindici e solo quindici. Quelli che mi son piaciuti di più. E che comprerei di botta. A cartoni. Ma ce ne sarebbero tant’altri meritevoli d’acquisto.
Avverto: li metto, i vini, in ordine d’età. Dal più giovane in poi. Ed è l’unico criterio.

Riesling Grand Cru Wiebelsberg 2004 Remy Gresser. Sabbia e arenaria: è questo il suolo del Grand Cru Wiebelsberg, ad Andlau. E questo è Riesling giovanissimo tratto da quelle terre. È dunque ancora molto sulla nota verde quando l’annusi nel bicchiere. Ma in bocca ha tensione e freschezza e slancio e lunghezza. Buono, e diventerà - ci sommetto - buonissimo. Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Riesling 2004 Cave Vinicole de Hunawihr. Se vi piacciono le cicogne, be’, a Hunawihr ci dovete andare. Ne trovate a decine sui tetti lungo la strada che porta alla cantina sociale. Poi, in cantina, vino buono che costa poco. Come questo Riesling base. Roba da 6 euro per un bianco da spettino: il bicchiere lo vuoti che è un piacere. Ha naso citrino, agrumato, ma anche di già minerale. Bocca fresca e nervosa. Due lieti faccini :-) :-)

Gewurztraminer 2004 Clement Klur. Mi diceva niente il nome di Clement Klur. M’hanno incuriosito le etichette: due con dei gatti (del resto, lui è di Katzenthal, la Valle dei Gatti, se non traduco male), le altre dai colori terrosi. Mi sono accostato al tavolino e ho scoperto un produttore che merita attenzione. Fa biodinamica. E buoni vini. Come questo piacevolissimo Gewurztraminer dal naso pulitissimo ed elegantemente aromatico, e bocca tesa e scattante e senza eccessi. Di beva franca e serena. Da compagnia. Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Pinot Blanc 2004 Clement Klur. Altro bel bianco da monsieur Klur. Un Pinot Bianco - ed è un’eccezione nella mia lista personale – che unisce alla vegetalità dei profumi un’intrigante vena speziata e un cenno d’agrume quasi immaturo. La bocca è farinosa e speziata anch’essa e quasi pungente nella sua presenza citrina. Poi c’è la mela asprigna e una freschezza esuberante. Due lieti faccini :-) :-)

Pinot Gris Sables et Galets 2004 Cave de Turckheim. Bel vinello, da bere e strabere in compagnia. Sulla chiacchiera. Fine e invitante e di dolcezza calibratissima e bella freschezza. Lavora bene, questa cantina sociale. E ha buoni prezzi: questo, viene sui sette-otto euro. Due lieti faccini :-) :-)

Pinot Gris Grand Cru Furstentum 2004 Albert Mann I vini del Grand Cru calcareo del Furstentum li amo alla follia. Sono i miei vini. E quello di Albert Mann è un Domaine che quel terroir lo interpreta all’eccellenza. Anche se non sono un patito del Pinot Gris, be’, vi consiglio di comprarlo, questo, se passate dalle parti di Wettolsheim. Ché è buonissimo. Col suo bouquet esplosivo di fiori bianchi e gialli. E la bocca equilibratissima e balsamica quasi e pregna d’erba officinale. Lunghissima. Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Gewurztraminer Grand Cru Furstentum Vieilles Vignes 2004 Albert Mann. Tre faccini? Ma gliene darei quattro, cinque, se la mia scala non si fermasse giocoforza al terzo. Altro grande - che dico, grandissimo - bianco del Furstentum. Pensare che è così giovane: solo il 2004. Naso bello, con la rosa e la spezia e il frutto tropicale (e il passion fruit) e l’erba limoncella e la melissa e la mentuccia e il peperone giallo grigliato perfino. E una vena minerale intrigante. La bocca corrisponde, e a darle slancio c’è una freschezza salina. Ovvio, il top, i tre faccini :-) :-) :-)

Riesling 2003 Trimbach. Nome celebre, importante, quello dei Trimbach. Ché fan vini di grand’eleganza. Aristocratici. Capaci di dare un Riesling di fascinosa beva anche in un anno, com’è stato il 2003, poco propizio. Il caldo quell’estate era tanto e troppo per la vigna e il frutto tendeva a cuocersi, tant’è che non son molti i vini di quell’anno che mi siano entrati in testa. Questo è uno. Molto sul frutto, ha naso ampio ed elegante e speziatino anche e in bocca è teso come una corda di violino. Splendidamente anomalo. Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Gewurztraminer Grand Cru Brand 2002 Cave de Turckheim. Sull’erta del Brand andavo a farci jogging la mattina presto per cercare di smaltire il fegato grasso mangiato la sera. Cosa di cui - ne convegno - non importa nulla a nessuno, e men che meno a chi vuol legger di vino. Ma quelle vigne le ho percorse in lungo e in largo e sono bellissime e ci vengono vini di piacevolezza, e agrumati parecchio, come questo Gewurtraminer della cantina sociale di Turckheim. La buccia d’arancia, la rosa appassita, la spezia dei dolcetti tedeschi: eccolo il bouquet. Il corpo è di tutto rispetto. Bel vino. Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Gewurztraminer Grand Cru Furstentum 2001 Paul Blanck. Il Domaine è di quelli noti. Giustamente. Ché i vini sovente sono magnifici. Splendido è questo Gewurztraminer del 2001. Del Furstentum, Grand Cru dal suolo calcareo fra Kientzheim e Sigolsheim. Che ampiezza e che equilibrio ha nel bouquet! Gioca tra il fior di rosa, il frutto esotico, l’agrume, il litchie, la vena fumé, la liquirizia, un cenno appena di tadacco dolce da pipa. E altrettanto ampio è il palato, che è fresco e nel contempo perfino un pelettino tannico e che comunque trova nella venatura minerale una specie di costante filo conduttore. Ed ha equilibrio e lunghezza. Un capolavoro assoluto. La scala dei faccini dovrei superarla. Ma ne uso da uno a tre. Dunque son tre. Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Riesling Engelgarten 2001 Sylvie Spielmann. Eccolo qui un Riesling di quelli didattici. Intendo: quando parli di Riesling d’Alsazia, vien fuori sempre l’osservazione che hanno traccia minerale. Ebbene: se vi piace il bianco che sa di pietra focaia e d’idrocarburi, questo fa per voi (e per me, ché a me piace). È ancora giovane e ha tuttora traccia citrina, ma è buono parecchio. Due lieti faccini :-) :-)

Riesling Grand Cru Kanzlerberg 2001 Sylvie Spielmann. Altro bel Riesling da madame Spielmann. Minerale anche questo. Minerale, dico, all’olfatto e al gusto. D’una mineralità ampia e fascinosa e mai aggressiva. In equilibrio, dunque, come dev’essere per l’ottimo bianco. Ed è vino che vibra sul palato per la bella freschezza. Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Riesling Grand Cru Moenchberg 2000 Remy Gresser. Oh, ne berrei a secchi di questo Riesling! Grandissimo già nell’olfatto, che vive sul gioco dell’agrume e della resina e del fiore bianco – il biancospino, certo – e del minerale. E la bocca s’apre e si distende con lentezza, e la freschezza allora invade il palato. C’è ancora bel frutto agrumato, ma soprattutto una mineralità vivida, intrigante. Vino buono adesso e chissà cosa potrà dare ancora in futuro per anni et anni. Tre lietissimi faccini :-) :-) :-)

Riesling Cuvée Frédéric Emil 2000 Trimbach. Gioca classicamente sulla nota di mineralità questo Riesling, ed è bianco di grand’eleganza. All’olfatto cede tuttora sentori d’agrume e di resine che sottostanno però alla fitta trama di rocce e d’idrocarburi. La bocca è lunghissima e appagante. Dire buono è ancora poco. Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Riesling Grand Cru Kastelberg Vendages Tardives 1998 Remy Gresser. Che dire: l’equilibrio fatto vino. Zucchero ce n’è, e tanto, ch’è bottiglia da vendemmia tardiva. Ma mica lo senti in bocca. Perché c’è una freschezza che regge l’urto. Ed è fascinoso il naso, complesso e vivido nelle memorie di frutto e di spezia e di roccia, dello scisto delle terre di questo Grand Cru. Grande. M’accorgo che sono tre i vini di Gresser della mia top parade. Ma che farci: mi son strapiaciuti. Tre lieti faccini :-) :-) :-)

È tutto, e son felice d’averli provati, questi ed altri vini ancora. E ho nostalgia d’Alsazia.
Ohibò, no, non è tutto, ché se qualcuno volesse provarli, questi vini, capisco che non c’è recapito o indirizzo. Allora, cerco di dare referenze in breve.
Dunque, Remy Gresser lo importa VaMa Distribuzione di Cisano Bergamasco, mentre la mail della cantina è domaine@gresser.fr. La Cave Vinicole de Hunawihr è importata da Dallevigne di Vinci (Firenze), le e.mail vanno a info@cave-hunawihr.com. Clement Klur non lo importa ancora nessuno: si contatta all’indirizzo info@klur.net (sappiate che ha anche un bed & breakfast). La Cave de Turckheim è trattata da Araldica di Castel Boglione (Asti) e la mail della cantina sociale è brandt@cave-turckheim.com. Albert Mann è importato da Tre Archi Distribuzione di Oleggio (Novara), mentre l’indirizzo di posta elettronica è vins@albertmann.com. La Maison Trimbach la contattate all’indirizzo contact@maison-trimbach.fr e per l’Italia è trattata da Pescarmona Importatori di Torino. L’importatore di Paul Blanck è Sobria Ebrietas di Milano, la mail d’azienda è info@blanck.com. I vini di Sylvie Spielmann li trovate da Il Naso del Vino di Albese con Cassano (Como), e se volete mandare una mail alla produttrice scrivete a sylvie@sylviespielmann.com.
Adesso è tutto davvero.