sabato 9 settembre 2006

Il Soave, punto e basta

Angelo Peretti
Non faccio mistero di considerare il Soave il più gran bianco d’Italia. Il Soave come denominazione di terroir, mica solo qualcheduna fra le bottiglie in commercio. Ché roba come il Calvarino di Pieropan, giusto per fare un esempio (e che esempio!) lo sanno tutti ch’è un capolavoro. E non è neppure, la mia, questione di campanile. Non è, intendo, spirito di patria veronesità. Nossignori.
Certo, altri bianchi m’intrigano nella penisola, dall’alto in basso, dall’Alpi alle Sicilie. Uno su tutti, il Fiano dei Colli di Lapio, ch’è vino che mi dà la scarica lungo la spina dorsale solo a ricordarmelo. Oppure certo Kerner della Val d’Isarco, di volta in volta da Nössing, da Pacherhof, da Köfererhof. O ancora, uscendo dall’autoctonia, lo Chardonnay che Costantino Charrére fa per Les Crêtes, in Val d’Aosta. Ed altri (in verità, non tantissimi, ma è parer mio) se ne possono citare, come un certo Pigato di Bruna, U Baccan, in Liguria, Riviera di Ponente. E mi fermo, ché sennò vien fuori solo un elenco. Ma sono quasi casi isolati.
Intendo: non è difficile trovar grande bianco in Südtirol o in Friuli o nelle Marche o in Liguria o un po’ dovunque vogliate. Ma non vedo qui da noi un filo conduttore che attraversi un’intiera area, che faccia parlare d’una denominazione d’assieme, come accade, che so, per la Borgogna e i suoi chardonnay, la Loira e il sauvignon, il Reno e il riesling. L’Alto Adige? Sì, ha bianchi spettacolari, ma sono tre Kerner e due Veltliner e tre Sylvaner e un paio di Sauvignon e... E insomma, a macchia di leopardo. E lo stesso, in fondo, per il Friuli e la sorella Venezia Giulia. Invece a Soave si fa Soave.
Ecco, Soave mi pare ci stia riuscendo nell’impresa dell’identificazione di territorio. Ed ha nella garganega la madre riconoscibile e trova magari anche supporto nel trebbiano locale, per chi l’usa ancora.
Ha, la zona, una traccia descrittiva comune nelle sue migliori espressioni, che son poi quelle che vengono dalla collina. Da Monteforte e Soave, zona classica, soprattutto: vini che hanno il frutto succoso che avvolge istantaneo, e poi la centrale, nervosa freschezza, e la florealità appagante e la mineralità accattivante e il finale quasi tannico. Insomma: ormai si può parlare apertamente d’un vino di territorio, cosa impossibile solo una quindicina d’anni fa, ché in terra soavista si facevano cisterne di vinelli scipiti dal color bianco carta e pochi, pochissimi offrivano invece cose di valore (ed era però già gran valore, ma casi isolati).
In più, colpisce il fatto che, nonostante una presenza enorme della cooperazione, con la Cantina di Soave divenuta un colosso e poi altre cantine sociali che raccolgono soci e uve in volume notevole (e che comunque san fare cose apprezzabili), be’, nonostante questo ogni anno ecco che emergono nuovi piccoli produttori, gente che passa all’imbottigliamento e lo fa bene e tira fuori roba da bere con soddisfazione.
Certo, di Soave ordinario e anche grossolano e da quattro soldi ce n’è ancora tanto in giro per il mondo, ma il numero delle cantinette che fanno cose buone e buone assai cresce d’un anno all’altro.
Tutto bene, dunque? Sì e no. No, ho detto, per la massa anonima ancora in giro. E no se ci s’illude d’essere arrivati. Siamo, probabilmente, alla svolta. Il Soave ha acquisito sicurezza e comunanza e leggibilità. La lettura grammaticale del vino, intendo, è appropriata: esprime la garganega e la sua acclimatazione in un territorio circoscritto. Adesso ci vuole il nuovo passo, ch’è quello della lettura in profondità, della valorizzazione dei singoli terroir. Occorre transitare dal Soave buono al Soave che descrive una pezza di terra e una storia d’umanità. Occorre arrivare ai crû, come direbbero i francesi. Ed è il passaggio più difficile. Ma mi sa che da quelle parti hanno i numeri per farlo.
Uno spaccato della produzione soavista l’ha dato di recente, nella terra d’origine, Soave Versus. Dove esponevano una quarantina d’aziende, alcune note, altre emergenti, talune pressoché sconosciute. Mancava qualche big (niente Pieropan, niente Suavia, giusto per dire d’un paio d’illustri assenti), e qualcun altro non portava tutta la batteria (Prà, per esempio, aveva solo il nuovo Staforte, e dunque niente Monte Grande e Sant’Antonio). Ma il parterre era buono. E l’afflusso di pubblico notevole. Peccato che io ho potuto poco assaggiare, impegnato a parlar d’olio (e formaggio & chocolate) in un laboratorio che m’han chiesto di condurre. Ma qualcosa qui e là ho riprovato, e comunque pressoché tutti li avevo già tastati in luglio e qualcheduno (ben più d’uno) anche dopo.
Ora, cerco di dar conto di qualche bottiglia presente al Soave Versus. Attingendo però - lo dico - agli appunti di più tastings, e dunque non solo della manifestazione, ché tutto non ho potuto lì ribere. Ma i vini che cito sono comunque scelti esclusivamente fra quelli che alla kermesse soavese erano esposti. Insomma, un mio taccuino dell’evento un po’ esteso.
Ne elenco venti, di bottiglie. In ordine alfabetico all’interno della categoria di giudizio, ch’esprimo, come sa chi ha la bontà di leggermi, in faccini tipo smarticons del cellulare. Da tre faccini ad uno.
Qui sotto i vini.

Soave Classico Monte Fiorentine 2005 Cà Rugate
Et voilà: altra annata, altro gioiello. Il Monte Fiorentine mi piace, mi piace assai. L’ho già detto altre volte e più lo riassaggio più me ne convinco. Appagante, succoso, eppure anche vibrante e snello. Una certezza.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Soave Classico Monte Alto 2004 Cà Rugate

Altro bianco di Cà Rugate, e neanche l’ultimo, ché più avanti ce n’è un terzo. Anche questo buono tanto. S’avverte la mela asprigna e l’erba sfalciata e la spezia e la pesca matura e la mandorla. Ha lungo, tannico finale.
Ridono tre faccini :-) :-) :-)

Soave Classico Cà Visco 2005 Coffele
Altro Soave che amo, e che non tradisce l’amore ormai da più anni. Altr’esempio di vibrante tensione gustativa. Fiore e frutto bianco e vene minerali s’intersecano nel palato, e ti prendono il cuore. E c’è freschezza avvincente.
Tre faccini gaudenti :-) :-) :-)

Soave Classico Superiore Foscarin Slavinus 2003 Monte Tondo
Soave da legno grande. Ed è bel bianco, per chi ama il genere. Il naso ha frutto denso, giallo, e fiore macerato. La bocca è polposa, eppure sorretta da una guizzante vena di freschezza. Gran tensione e lunghezza.
Tre sorridenti faccini :-) :-) :-)

Soave Classico Staforte 2004 Prà
Coraggioso. Butta il cuore di là dall’ostacolo. In acciaio e con cocciuto batonnage per cavar da mamma uva anche l’ultimo cenno d’amorevole frutto. Grande oggi, grandissimo coll’affinamento ulteriore. Possibile parlar di capolavoro?
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Soave Classico Alzari 2004 Coffele
Lo so: c’è chi ritiene che l’Alzari sia, stavolta, il capolavoro di casa Coffele, che superi il Cà Visco. Ammetto ch’è gran vino, ma m’intriga più l’altro. Ché questo gioca sull’opulenza e l’altro sulla tensione. In ogni caso, chapeau.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

Soave Borgoletto 2005 Fasoli Gino
Bella sorpresa, il Borgoletto. I Fasoli credono all’agricoltura biologica e quest’è, se non sbaglio, il loro vino che fa i numeri maggiori. Be’, è un bel bere. Non è un gigante, ma va giù che è un piacere. E ha frutto e nuance minerale.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

Soave Classico Vigna dello Stefano 2005 Le Albare
Una sorpresa. Bella. Un bianco mica appariscente, eppur godibilissimo. Ché ha naso di fiore e di frutto bianco ed ha ricordi minerali di grafite. Bocca tutta sul frutto. Ed ha lunghezza considerevole e succosa. Buono.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

Soave Classico Le Bine 2004 Tamellini
Detto che ho bevuto e ribevuto il Recioto dei Tamellini e che ne riparlerò perché per me è una perla di fascinosa grazia, eccomi qui a citar le loro Bine (e del Soave basic dico più sotto).Ch’è vino di bella personalità e densa beva.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

Soave Classico 2005 Balestri Valda
Oh, che bel vinino! Mica che aspiri a essere un super-white, questo no, ma lo berresti a secchi. Ché ha freschezza e dinamicità e tensione e vivida mineralità e memorie vegetali che intrigano e buona e quasi burrosa lunghezza.
Due lieti faccini :-) :-)

Soave Classico San Michele 2005 Cà Rugate
Terzo Soave di Cà Rugate nella mia personale lista. Che dire: son bravi, davvero. Pensare che questo qui è il piccolo di famiglia, il vino base, il fratellino minore. Be’: averne. Susina, pesca, fiore bianco, sapidità, leggerezza. Bel mix.
Due faccini felici :-) :-)

Soave Colli Scaligeri Castel Cerino 2005 Filippi
Fiori. Al naso e in bocca è florealità pura quella ch’emerge. Sul finale, ecco che si fa avanti la traccia della mandorla. Certo, è vino che non ha ambizione. Ma si beve ch’è un piacere. Con disimpegnato piacere, direi.
Due faccini sorridono :-) :-)

Soave Il Selese 2005 I Stefanini
Se mi chiedete chi siano I Stefanini, be’, non ve lo so dire. Vabbé, etichette e web site avrebbero bisogno di restyling, ma il vino, questo Selese, è buono e se il buon giorno si vede dal mattino... C’è tensione e mineralità e fiore.
Due faccini contenti :-) :-)

Soave Fontego 2005 La Cappuccina
Buono il Fontego, e potrà dare piacere maggiore, credo, lasciandolo ancora un po’ affinare nella bottiglia, ché già oggi intriga con la sua mineralità, destinata, ritengo, a irrobustirsi. Ed ha sapidità al palato e finale quasi tannico.
Due gaudenti faccini :-) :-)

Soave Classico San Brizio 2004 La Cappuccina
Bel derby in famiglia, quello che vede opporsi il Fontego e il San Brizio. Questo, il San Brizio, è più orientato - mi pare - all’opulenza del frutto, allo spessore. Ed ha morbidezza succosa. E vena anche qui minerale. E tensione.
Due lieti faccini :-) :-)

Soave Classico Montetondo 2005 Monte Tondo
Di sopra ho detto del vinone, adesso ecco qui il piccolino, il base. Ch’è comunque vino apprezzabile ed ha nella tensione di beva il suo lato migliore. E porge il fiore bianco insieme con un’inaspettata tannicità.
Due faccini sorridono :-) :-)

Soave 2005 Tamellini
Eccolo il basic dei Tamellini. Ed è un bel bere anche quello che offre il piccolo di famiglia. Ché ha frutto, e nel fruttato è l’albicocca a porgersi succosa. Sul fondo, ecco la vena mandorlata. Senza pretese eccessive, ma di bella beva.
Due lieti faccini :-) :-)

Soave Superiore Monte Ceriani 2004 Tenuta Sant'Antonio
Oh, ecco qua un bianco fatto da gente che spopola coi rossi. Ché i Castagnedi brothers sono celebri e celebrati per l’Amarone e il Valpolicella. Ma hanno in serbo anche un Soave che ha carattere e personalità e tensione.
Due lieti faccini :-) :-)

Soave Classico Sacripante 2005 Le Battistelle
Perché si decida di chiamar coll’ariostesco Sacripante un bianco resterà un mistero, così come oscura m’è l’azienda. Il vino lo segnalo sulla fiducia, anche se non ha perfetta definizione: potrebb’essere una lieta sorpresa futura.
Il faccino è ridente :-)

Soave Classico Monte Zoppega 2004 Nardello
Su casa Nardello c’è chi scommette, e anch’io attendo al varco l’esprimersi intiero della potenzialità. Mica male ‘sto Monte Zoppega, che ha fiore e frutto bianco e beva distesa e pacata. Un pelo di personalità in più, e farebbe faville.
Lieto il faccino :-)

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