lunedì 19 febbraio 2007

Do you know Capriano del Colle? Quella vocazione rossista che fa un bel bianco

Angelo Peretti
Ora, non me ne vogliano i caprianesi, ma quando a una certa persona, che se n’intende di vino, ho detto ch’ero stato a veder le vigne di Capriano del Colle, quell’è caduta dalle nuvole: Capriano? Allora, meglio andar per gradi, ché - capisco - non siam mica nel gotha dell’enologia d’Italia.

Capriano del Colle è comune bresciano che ha dato il nome a una doc vinicola. L’area di produzione tocca anche gli ambiti confinanti di Poncarale e Flero. Il che vuol dire, nella sostanza, che si è a un tiro di schioppo da Brescia città, e infatti sembra quasi di toccarla dalla collina, il Montenetto, una sorpresa verde che quasi non t’aspetti.

Arrivarci è un po’ deprimente. Da Brescia Ovest è tutta una fila di brutti capannoni - quelli che Raspelli chiama falansteri, spregiativamente, la sagra padana del brutto nel nome dell’operosità - fino al cartello di Capriano, che non passi però, e invece giri netto a sinistra seguendo l’indicazione per Montenetto. E d’improvviso lo scenario cambia, e si fa campagna, inaspettata, inattesa, e vorrei dir quasi insperata. Ed è campagna bella e ben tenuta, e la strada si stringe e sale appena. Qui e là compare, tra un campo di frumento e uno d’orzo, la vigna, a volte incolta e vecchia e contorta, a volte d’innovato e ben impostato impianto. Capisci dal colpo d’occhio ch’è zona di viticoltura piccolina, ma che ha tradizione vecchia e che vive una trasformazione voluta.

Magari, non andateci di domenica, al Montenetto, ché è preso d’assalto dai cittadini in vena di far biciclettata e jogging, e li comprendo: avere un paradiso a due passi dal caos urbano è un’attrattiva invidiabile. Vogliono farci un parco rurale. Chissà.

Ora, il vino. La doc è dell’81, l’ultima modifica del disciplinare dell’88, ma presto questa sarà probabilmente la penultima, ché i produttori stan lavorando a una variazione ulteriore. Work in progress. Il fatto è che si prescrive un uso abbondante del sangiovese, che ai vigneron del posto non piace, ché non dà risultato apprezzabile in qualità. Il resto è merlot, soprattutto, e marzemino e poca barbera. Per il rosso, intendo. E poi c’è il bianco, e qui è altra sorpresa. Dice il disciplinare: trebbiano. Già, ma se un tempo era - infelicemente - trebbiano toscano, oggi piantano trebbiano di Lugana. Sissignori, l’autoctono delle plaghe argillose del basso Garda. E viene bene.

Argilla sul Montenetto ce n’è in abbondanza. Argilla rossa, però, di quella da mattoni. Dice qualcuno che quando fu creato il mondo, qui si depositò una sorta di accumulo di ghiaioni discesi dalle Alpi: graniti, porfidi spezzati. Di sopra i venti avrebbero depositato sabbia e limo. Oggi hai così sei-sette metri d’argille rosse e sotto ghiaia grossa. Il tutto a fare una sorta di duna, di grosso baule che s’alza d’una cinquantina di metri appena dalla piana, e tanto basta a farne un monte. E fa anche, quella larga terrazza argillosa, da frangivento, ché il temporale gira attorno e piove poco, pochissimo, in estate. Per contro, gira intorno e passa via anche la nube rognosa, quella gravida di tempesta e grandine.

Torno indietro. Dai vitigni capisci che quest’è zona che vuol avere, soprattutto, vocazione rossista, e infatti i bresciani dei dintorni bevono il rosso di Capriano, che ha consumo locale e cittadino. Ma a condurmi al Montenetto è stato un bianco. Quella dell’aziend’agricola intestata oggi ad Anna Botti. Ha un nome emblematico: La Vigna.

Papà Botti, il signor Ugo, faceva il grappaiolo e acquistava vinaccia al Montenetto. Poi comprò anche terra e piantò vigneto. Oggi la figlia e il genero han pres’in mano l’azienda e il signor Ugo comunque bazzica in cantina (e al campo di tamburello, da sempre la sua passione), ma è il marito di Anna, Marco Zizioli, che segue le cose di vigna e di cantina. È, Marco, enologo giovane e di valore, talché alcuni dei vini su cui mette le mani, a Capriano, in Lugana e in Franciacorta, son stati fra le cose nuove che ho trovato più interesanti nelle degustazioni dell’anno passato.

Nell’azienda di casa Botti si fanno un bianco, uno spumante, tre rossi. Che son già a buon livello e che m’aspetto incrementino, come ho aspettativa che un po’ la doc intiera s’elevi. Son solo sei-sette che producono e mettono in bottiglia, per un totale che di bottiglie ne fa appena 200mila, una bazzecola. C’è spazio, dunque, e c’è terra buona, c’è voglia e progettualità. Ho assaggiato in questi anni cose interessanti anche della Cascina Nuova, dei Lazzari, di San Michele, altri produttori caprianesi. Insomma: doc piccolina, ma c’è e cresce, come cresce e crescerà la Vigna dei Botti. Grazie alle idee e ai nuovi impianti che solo adesso cominciano a entrare in produzione.

Intanto, qui sotto, ecco quel che ho trovato, alla Vigna, che di bottiglie in tutto ne fa 30mila, sole.

Capriano del Colle Bianco 2005 Confermo quant’ho già scritto ai primi di luglio: un bianco del genere può convincere anche i più scettici sulla doc caprianese. Frutta (susine goccia d’oro) e nervosa freschezza e fiore bianco e succosità. Tutto trebbiano di Lugana coltivato a Capriano del Colle. E solo acciaio.

Tre faccini contenti :-) :-) :-)

Ha costo contenuto: 3,70 euro in cantina (a privati).

Capriano del Colle Bianco 2003 Non ne risente più di tanto della calura di quell’anno, ché ha frutto integro e beva scattante e ancora giovanissima e anche bella vena salina. Di più, è da encomiare l’azienda che lo tiene in serbo per commerciarne parte insieme alle nuove annate. Convinti, in casa Botti, che il loro bianco abbia doti di longevità. Ed han ragione.

Due lieti faccini :-) :-)

Prezzo come sopra.

Capriano del Colle Bianco 2001 Quelle vendemmiate nel 2001 erano ancora le vecchie vigne. Il vino ha tuttora naso fine ed elegante nelle note floreali e nelle memorie di fieno fresco, ma la bocca palesa le prime note ossidative ed è ahinoi cortina, pur su una beva soda e tesa. Dimostra però le potenzialità che già aveva il terroir, ed è così facile capire le potenzialità d’oggi con le nuove vigne e la tecnologia rinnovata.

Non esprimo faccini. E non è più in vendita.

Capriano del Colle Rosso 2004 Ecco, magari m’aspetterei più pulizia olfattiva, ma c’è carattere e beva schietta e frutto fresco e addirittura quasi acerbo nonostante i due anni ormai passati. Vino tradizionalista. Aggiungo che ho assaggiato le vasche (acciaio) del 2005 e del 2006 e le premesse son buone.

Un faccino :-)

Ahimè, non ho segnato il prezzo.

Capriano del Colle Rosso Riserva Monte Bruciato 2003 Ha bocca piena, pastosa e fruttata questo rosso figlio dell’annata calda, con quell’impostazione sul frutto stramaturo. C’è lunghezza e spessore. Le vigne son quelle vecchie: vale il discorso di sopra, e cioè che quand’arriveranno a regime i nuovi vigneti - e quelli dei rossi maturano più tardi dei bianchisti - m’aspetto belle cose.

Un faccino ridente e quasi due :-)

Ut supra: non so il prezzo.

Montenetto di Brescia Marzemino 2005 Questo è l’igt, tratto dalle uve di marzemino e giocato in stile moderno, molto sul frutto, basso d’alcol, di pronta e franca beva, immediato. Giovanile e pulito.

Un lieto faccino :-)

Qui il prezzo l’ho preso: 5,20 euro a privati in cantina.

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