giovedì 18 gennaio 2007

Valpolicella da appassimento breve parte due: il Pojega

Angelo Peretti
Dicesi archètipo il «primo esemplare assoluto ed autonomo» (così spiega il mio vecchio Devoto-Oli). La definizione prendetela per ora così com’è, perché qualche riga più sotto verrà buona.
Ho visto (internet ha di bello che puoi vedere cosa leggono i visitatori del sito, cosa che invece non puoi fare con un giornale cartaceo), ho visto, dicevo, che ha ricevuto parecchia attenzione su InternetGourmet la notizia dell’uscita del «nuovo» Verjago della Cantina sociale della Valpolicella. Progetto ambizioso: si recuperano vecchi vigneti d’alta collina per dedicarli alla produzione non già d’Amarone, ma di Valpolicella, destinando per questo le uve ad un appassimento breve, che non supera i quaranta giorni; il tutto in sintonia coll’Università veronese. Una scelta che può cambiare le cose, in terra valpolicellese, visto il peso della Cantina di Negrar.
Ora, tra le osservazioni de’ lettori, c’è stata questa: il Verjago non è mica l’unico Valpolicella da uve appassite. Vero. E quest’altra: non è il solo Valpolicella da vigneti «dedicati». Vero anche questo. Il problema però è che trovare insieme un Valpolicella da uve appassite e da vigneti destinati in primis al Valpolicella (e dunque non all’Amarone) è impresa difficoltosa assai.
Comunque sia, stimolato dal pungolo di chi mi legge, eccomi alla ricerca dell’archétipo, che come tale so bene non si troverà peraltro mai. L’archètipo, intendo, del crû di Valpolicella fatto coll’appassimento breve. Ma una risposta d’interesse la trovo proprio a Negrar. Anzi, nel borgo di San Peretto.
C’è, a San Peretto di Negrar, una piccola corte, che ha in fondo un vecchio mulino ch’è stato attivo fino agli anni Sessanta, e pare abbia origine settecentesca o forse anche più antica. Accanto, c’è la cantinetta dei Mazzi. In etichetta, sulle bottiglie, è scritto Roberto Mazzi, ma sono ora i figli, Stefano e Antonio, a condur vigna e far vinificazione e commercio. In tutto sulle quarantacinquemila bottiglie, e solo rossi. Niente Valpolicella base, e niente, soprattutto, Ripasso. Si parte direttamente dal Superiore, e poi un crû di Superiore, il Pojega, un crû d’Amarone, il Punta di Villa, e un terzo crû per il Recoto, Le Calcarole. Son stato là a cercar di capire il secondo dell’elenco, il Pojega. Ch’è fatto in vigna «dedicata» e viene dall’appassimento breve.
È, il Pojega, discendente diretto del Valpolicella Vecchio da Arrosto che papà Roberto imbottigliava già una quarantina d’anni fa sotto il nome d’azienda agricola Sanperetto e che Gino Veronelli trovò di gusto suo e inserì - se non ricordo male - in uno dei cataloghi che redigeva per Bolaffi. Già allora, l’uva era quella della vigna di Pojega, tre ettari, e la si metteva in cassa e la si faceva appassire (asciugare, forse, più che appassire) per qualche settimana: Roberto Mazzi aveva fatto scuola d’agraria a Perugia e aveva portato a casa tecnica e coraggio.
Anni Ottanta: in azienda entrano i figli. L’etichetta cambia intestazione: adesso si chiama Roberto Mazzi. E il Vecchio d’Arrosto comincia a nomarsi Valpolicella Superiore Pojega, con la vigna scritta in alto, in evidenza, a carattere ben più grande del nome di famiglia, ch’è a sua volta prevalente sulla doc. Ordine che è poi cambiato, ché oggi Mazzi è in alto, grande, e sotto c’è la denominazione e al terzo posto la vigna, a font che resta peraltro evidente. Ma il vino resta sostanzialmente fedele a sé stesso, e l’uva rimane quella sola dei tre ettari a Pojega. Con due varianti: l’appassimento si fa in plateau, a un solo strato d’uve, e la botte s’è fatta più piccola. Il tempo d’asciugatura resta però brevissimo: tre settimane, in genere, e due appena nella torrida stagione del 2003, ché non c’era bisogno di forzar la mano, avendo già fatto gran parte del lavoro il sole.
L’uva, appassita, dà il vino, e questo va in legno per diciotto mesi. E non si fa - l’ho detto sopra - il ripasso, anche se la richiesta del mercato è forte ché c’è la moda, ormai, dei vini rifermentati sulle vinacce dell’Amarone. Testardi, i Mazzi seguitano sulla strada loro: appassimento breve. Tant’è che per spiegarsi han dovuto mettere la controetichetta sulle bottiglie: «Il vino così ottenuto ci porta a considerarlo come un ‘fratello giovane’ dell’Amarone perché fonde la sua struttura con la piacevolezza tipica del Valpolicella».
Direte: sì, vabbé, lo scrivono. Ma delusi come siete - lo so - dai tanti depliant che avete visto in giro (quelli che per gli alberghi Raspelli chiama bugiardini), volete sapere se quel che scrivono è vero. Per cui avete due chance: provar di persona (ch’è meglio) o seguitare a leggere, per vedere quel che ne penso io. E aggiungo il pensiero sugli altri tre vini dell’azienda: quattro in tutto e, anticipo, quattro bei rossi.
Valpolicella Classico Superiore Pojega 2003. Già, bel vino, il Pojega. Moderno e antico assieme. Moderno per quel frutto denso e amabile. Antico per la lentezza nell’aprirsi, la riottosità nell’elargire la fascinazione aromatica. Ci vuol pazienza, coi vini dei Mazzi. Vanno attesi nel bicchiere: lasciategli modo e tempo. Poi, ecco il frutto rosso, la ciliegia croccante, il fiore macerato, la foglia di geranio, la spezia fine. E in bocca ancora frutto carnoso. Ed è vibrante e teso ed integro. Ed ha persistenza considerevole.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Valpolicella Superiore 2004. L’unico dei quattro a non portare il nome d’una vigna, ché qui si raccolgono in effetti l’uve che, ne’ quattro vigneti (i tre crû e l’ettaro accanto a casa), non sono state giudicate da appassimento. Il «base» di famiglia, insomma. Comunque un Superiore: anno di legno. Graduale e progressiva l’apertura olfattiva e bocca piuttosto convincente, tra la spezia e il fiore appassito e la ciliegia cotta, di quelle che facevano un tempo le nonne in campagna. Vino austero.
Due lieti faccini :-) :-)
Amarone Classico della Valpolicella Punta di Villa 2003. Chissà quando troveremo questo vino all’apogeo. Il 2003 è stata annata anomala, con quella calura, ma non è solo la potenza a impressionare in questo rosso: è anche lo slancio, la freschezza quasi inusitata per il millesimo suo. E dunque sarà bello aspettarlo ancora. Per intanto, è comunque Amarone che convince. Ed ha fragranza fascinosa già appena versato e poi s’apre piano - lento, lento - e si fa imponente. E gioca dapprima a nascondino, il frutto, fra le vene terrose e le sfumature vegetali, e poi esplode invece l’amarena.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Recioto della Valpolicella Classico Le Calcarole 2003. Vabbé, sarò anche un fan del Recioto, ma questo, lasciatemelo dire, è di quelli che non passano inosservati, nossignori. O meglio: ogni anno il Recioto della Calcarole ha qualcosa di suo da dire. Sarà che i Mazzi hanno uno stile loro, che mette il tannino davanti allo zucchero, tant’è che ti sembra quasi di bere un Grenache fortificato del sud della Francia, ma questo loro passito valpolicellista ha classe e personalità e aristocrazia e austerità (nonostante una dolcezza ch’è nascosta, ma vivida). Il naso, ah, il naso è amplissimo. I miei appunti scritti di getto: tabacco da pipa, rabarbaro, ciliegia surmatura, mora di rovo, prugna secca, fiore macerato, dattero, tamarindo, pepe macinato.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

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