sabato 9 dicembre 2006

Quei gemelli così diversi: i bianchi del monte del Toni e del Fice

Angelo Peretti
È un bene che ci siano persone intraprendenti, non c’è dubbio. Certo, il mondo va avanti grazie chi fa ogni giorno con giudizio l’opera loro: il panettiere che fa il panettiere, l’insegnante che fa l’insegnante, l’impiegato che fa l’impiegato e via discorrendo. Ma un po’ di sana intraprendenza è quella che permette il salto di qualità. Pensate se Cristoforo Colombo e Marco Polo non fossero stati intraprendenti. E se gli ex mezzadri veneti non si fossero scoperti artigiani prima e imprenditori poi, come si sarebbero potuto realizzare quello che chiamano il modello industriale dei distretti del Nord-Est?
Questo per dire che il signor Giorgio Pili, venditore per conto di un’aziendina di vini dell’area soavese, è fra gl’intraprendenti. Ché in ottobre mi scrisse: «Mi permetto di consigliarle un occhiata ai Vini d'Italia de L'Espresso a pag. 277 e pag. 302». E ce ne vuol di spirito per scrivere a uno che di guide ne fa un’altra (sono tra quelli che tastano vini per il Gambero & Slow Food) di leggersi il manuale dell’Espresso.
Ora, alle pagine citate della guida in questione si trovano: a) la scheda dell’azienda I Stefanini, a Monteforte d’Alpone e b) l’elenco dei «migliori acquisti» da farsi del Veneto, col numero uno affidato al Soave Classico Superiore Monte di Fice 2004 dei predetti Stefanini.
Gli è anche che di questa new entry del mondo soavista avevo già dato segnalazione in occasione del Soave Versus, citando il vino basic, il Soave Il Selese, dicendo che se il buon giorno si vede dal mattino...
In più, gli è pure che pochi giorni prima della mail di cui ho detto ero stato in visita alla cantina. E adesso vi racconto com’è andata. Ché ne vale la pena: quest’è una delle piccole realtà che saranno grandi, ci si potrebbe scommettere. Ovvio, se non si montano la testa, se tengono i piedi ben piantati per terra, se fan le cose per bene. Se, se, se, ma l’impressione è che ci siano la testa e il cuore e che ci si possa contare.
Ordunque, I Stefanini - coll’articolo alla veneta, ché i veneti hanno articoli strani (vedi «la» sale e non «il» sale) e in italiano sarebbe invece giusto «gli» Stefanini, e questa scelta vernacola la dice lunga, spero, sul radicamento alla terra natìa - I Stefanini, dicevo, sono in realtà a Costalunga, ch’è frazione del comune di Monteforte d’Alpone, zona classica del Soave. Zona che sembra, nell’aspetto, quasi un pezzo della Sicilia etnea, con quelle pietre laviche nere come il babào utilizzate per farci muriccioli e case, e in mezzo ci crescono perfino i capperi. Qui ci stanno i Tessari, e siccome, come spesso accade, le famiglie collo stesso nome son tante e tante, ci si conosce per soprannome, e dunque quest’è il ramo dei Tessari ch’erano e son chiamati I Stefanini, probabilmente - presumo - per via di qualche antenato che aveva nome Stefano o va a sapere perché. E insomma, hanno deciso di metterlo in etichetta questo loro appelativo quando, viticoltori da sempre, han preso coraggio e, abbandonando la cantina sociale cui conferivano l’uve, han fatto mutuo e mess’in piedi un’azienda tutta loro. Lavorandoci tutti, nella cantina nuova: tutta la famiglia, intendo. Prim’annata il 2003.
Han fatto in tutto, nel 2005 (come sia andata la vendemmia del 2006 e quali siano le previsioni non lo so) trentamila bottiglie in tutto, il che dà l’idea che le dimensioni son piccine, anche se le potenzialità ci sono. Hanno infatti, a Costalunga, una ventina d’ettari di vigna. E solo tini in acciaio: niente, ma niente legno. Bravi.
Dei vent’ettari, una parte è sui pendii d’una collina che qui chiamano il Monte Tenda. Un crû, direbbero i francesi. Era, quel monte, in ampia parte loro, dei Tessari. Poi, man mano, cogli anni, se n’è venduto un pezzo a questo e un pezzo a quello, ché non era terra granché produttiva, difficile da coltivare. Erano i tempi in cui la quantità era la ratio prima della campagna. E insomma, ne son rimasti appena due ettari, e in certe annate siccitose non ci si andava neppure a provare a tirar giù l’uva, ché in vigna n’era rimasta così poca. Giacché, anni fa, questi Tessari del ramo Stefanini decisero che anche quel paio d’ettari tanto valeva darli in gestione agli operai, che ne tirassero fuori quel poco di vino che ne veniva, giusto per il loro consumo familiare.
Ora, i lavoranti in questione erano detti l’uno il Toni e l’altro il Fice, e gli appezzamenti dati in gestione cominciarono a esser chiamati il Monte del Toni e il Monte del Fice. Ed oggi che I Stefanini sono azienda, han capito che quei due lacerti di vigna sono dei gioiellini da valorizzare. E dunque ne han tratto due vini separati. Due Soave di rango. Della categoria Superiore, quella a docg, a denominazione controllata e garantita. Il Soave Classico Superiore Monte de Toni e il Soave Classico Superiore Monte di Fice, appunto. Diversi, i due vini. Diversissimi tra loro. Tanto diversi che – son sicuro – trovano e troveranno entrambi i loro estimatori, pronti a dividersi in fazioni opposte.
In più, oltre ai due Superiori, fanno il Selese, il Soave basic, di cui ho detto. E un Recioto, in acciaio, alla buon’ora. E qui di sotto vi dico quel che penso dei vini. E, attenti, d’entrambi i Superiori racconto due annate, ché credo ne valga la pena. E se avete pazienza, alla fine vi dico anche quanto costano ‘sti vini, e anche questa è una sorpresa interessante.
Soave Il Selese 2005
L’avevo provato a luglio. E avevo scritto che «c’è tensione e mineralità e fiore». Confermo. Aggiungo: naso tra il vegetale e il floreale, ancorché un po’ compresso. Bocca davvero tesa e nervosa, e un po’ rustica, anche. Ribadisco il giudizio d’allora: buono, davvero.
Due faccini contenti :-) :-)
Soave Classico Superiore Monte de Toni 2004
Santo cielo, che scontrosità! Ha, questo Toni del 2004, naso minerale, quasi «cattivo» nella sue espressioni basaltiche. Ed anch’in bocca non scherza, teso come una corda di violino, affilato come un rasoio. Carattere inaudito. Secco, lungo, fresco. Se vi piace un bianco che insieme al frutto e quasi sopra ad esso esprima grafite e pietra focaia, avete trovato risposta. A me piace, sissignori.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Soave Classico Superiore Monte de Toni 2005
Ma come: è il fratello dell’altro e gioca invece su tutt’altri registri? Qui c’è frutto e frutto e frutto. Sembra, quasi, ruffianamente fruttatino, ed è succoso, e gioioso. Dicono, i Tessari: «Era così anche l’altro, e poi, dopo l’estate, è diventato quel che è diventato. È sempre andata così coi bianchi di quel pezzo di monte». E già però s’avverte, sotto il frutto, quella vena quasi balsamica, e un po’ di nota minerale appena appena accennata. Buono oggi, cosa diventerà domani? Il giudizio lo stilo dunque sull’oggi, riservandomi futura rettifica. In crescendo, ritengo.
Per ora, due lieti faccini :-) :-)
Soave Classico Superiore Monte di Fice 2004
Ha, in effetti, bel bouquet fruttato e già memorie minerali che un po’ richiamano quelle del Toni, senza però assumerne la scorbutica possanza. E cenni poi floreali. In bocca è mela, croccante. Agile. M’aspetterei però un finale più asciutto, e invece chiude morbido, ed è un po’ un peccato, ché attendevo un’uscita più vibrante. Ed è propri questa una delle caratteristiche che cerco in un Soave: l’uscita asciutta, che metta a nudo il frutto. Ma son pareri miei, ch’è comunque signor vino, ‘sto Fice.
Un faccino gaudente e quasi due :-)
Soave Classico Superiore Monte di Fice 2005
È davvero il fratello del 2004. Con una marcia in più sulla vena minerale, ché di già ben sottesa, e quest’è un bene, ché mi compensa quel frutto così morbido, concentratissimo. Confermo: buono, ma fra i due crû continuo a preferire il Toni. Anche se so che questa morbidezza troverà molti e molti adoratori di certo.
Ride il faccino e son quasi due :-)
Recioto di Soave Togo Rosso 2004
Ora, non riesco a capacitarmi di come si possa chiamar «rosso» un Recioto bianco. Capisco: è il nome del terreno, quel tufo rossastro che qui chiamano proprio togo rosso. Ma insomma, permettetemi di rimanere perplesso, sull’intitolazione. Perplessità non ne ho invece sul vino, ch’è Recioto fatto in acciaio. Ha fragranza floreale e finezza. E in bocca la freschezza tiene in bell’equilibrio lo zucchero. Più che un passito, sembra quasi una vendemmia tardiva. E ha sentori di nocciola e noce. Finisce quasi tannico ed ha un che di rocciosa presenza: non è un caso che venga dall’uve della zona mediana del monte, vicino alle vigne che furono del Toni.
Due lieti faccini :-) :-)
Ora, avevo detto dei prezzi. Tenetevi: 2.70 per il Selese, 3.70 per il Toni, 4.50 per il Fice, 5.00 per il Recioto. Da comprare a casse.
Ah, non badate alle etichette: quelle non sono gran cosa (anzi!), ma pazienza. Conta di più il contenuto che il contenitore. E teneteli a mente, questi Stefanini da Costalunga.

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