sabato 28 ottobre 2006

Che novità, ragazzi! Wine Spectator lancia i vini Euro-beautiful

Angelo Peretti
Che mito Renato Carosone. Scriveva canzonette, sì. Ma che canzonette, ragazzi! Univano tradizione e jazz, melodia e swing. Tracciavano nuove sonorità. Ed erano spesso ironiche, graffianti. Comunque geniali. Trovandomi a Napoli la scorsa primavera, non ho resistito, e ho voluto passeggiare per via Toledo, la strada dove passava «scampanianno» il ragazzotto che portava «'e cazune cu nu stemma arreto, na cuppulella cu 'a visiera aizata». E Carosone l’apostrofava: «Tu vuo' fa' ll'americano, mericano, mericano... sient'a mme chi t' 'o ffa fa'?»
Ora, mi viene in mente Carosone e il suo guappo «mericano» quando penso a quanti produttori italiani di vino da anni vogliono «fa’ ll’americano». E insistono coi bianchi legnosi e i rossi muscolosi, tutti tannino e colore e alcol e liquirizia e ciliegiona e prugna essiccata e marmellata. Proprio adesso che in America...
Ma qui devo fare un passo indietro. Da qualche settimana vado dicendo che ho l’impressione che ci sia qualcosa in rapida evoluzione nel mondo internazionale del vino. O meglio – sorry – nel mondo di chi, a livello internazionale, scrive di vino. Ho già detto dell’intervento di Denis Saverot, che sulla «Revue des Vins de France» ha posto il problema, ossia se i vini d’oggi, fedeli alla linea filoamericana, non siano troppo alcolici, artificiosamente gonfi e tronfi, «bodybuildés», e insomma imbevibili. E ho detto anche delle diverse reazioni che altri colleghi hanno avuto in giro per il mondo. E di come abbia preso autonoma posizione sulla sua guida annuale anche il grande Hugh Johnson, che scrive che «da un lato, si potrebbe definire “moderno” un vino netto, nitido, equilibrato, con fruttato pulito bene in evidenza. Ma i curatori d’uva si volgono nuovamente al terroir: cercano sempre più toni minerali per i propri vini, e il carattere del luogo». Be’, non è finita. Perché adesso gli americani vogliono mettersi a fare gli europei. E sono così convinti, che hanno coniato una nuova formula, quella dei vini Euro-beautiful, «belli come gli europei».
A scriverne nientepopodimeno che sul numero di ottobre di «Wine Spectator» - che è il periodico che fa opinione negli Usa in fatto di vino e che, guarda caso, è sempre stato anche la bibbia del vino american style – è Matt Kramer. Il quale è vero che si occupa spesso e volentieri di vini europei, ma, santiddìo, è pur sempre un opinionista del magazine statunitense, e non credo proprio che gli abbiano pubblicato un pezzo senz’approvazione editoriale e neppure che gli sia dato di volta il cervello.
Che dice dunque Kramer di tanto sconvolgente? Racconta d’una cena con due amici di Los Angeles, convinti da lungo tempo che i vini californiani siano privi d’ispirazione in confronto a quelli che vengono dall’Europa. E allora Kramer ribatte che no, anche in California ci sono vini Euro-beautiful. Sentite qua: «Quando gli ho detto – scrive l’editorialista – che la California aveva un gran numero di vini Euro-beautiful, mi sono sembrati genuinamente sorpresi. Per loro, questa appariva una novità. Che cos’è un vino Euro-beautiful, mi domandate? È quel tipo di vino che non traffica con un fruttato sopra le righe, col legno in eccesso o quel lo-capite-quando-lo-assaggiate senso di calcolo mercantile – in parole povere, non un «vino da paura». Non vengono necessariamente dall’Europa, peraltro. Gli Euro-beautiful wines, di qualunque parte siano, vi donano un senso, non solo di piacere gustativo, ma dell’impegno di un produttore verso la sua terra».
Ora, lo capite bene il significato d’un pezzo del genere? Sembra un sogno, ma anche in America si parla chiaramente ormai di terroir. Altro che vino omologato, planetario, globalizzato. Si fa marcia indietro. Verso un umanesimo vitivinicolo di stampo europeo. Classico. E lo si scrive su «Wine Specator», mica il bollettino dell’american St.-Emilion fan club o dei Langa wines friend, ammesso che sodalizi del genere esistano. «Wine Spectator», il colosso, il giornale enoico che ha la bellezza di 2.298.000 «affluent readers who love wine», duemilioniduecentonovantottomila lettori-amanti del vino. E lo possono scrivere orgogliosi: «More than any other wine magazini on earth», più di qualunque altra rivista del vino al mondo.
Ora, il fatto è che di terror gli americani non ne parlano mica soltanto. Nossignori: hanno cominciato a lavorarci sopra con cocciuta determinazione. E hanno preso a far vini che descrivono uomini e terre d’oltreoceano. Kramer ne cita parecchi di vini Euro-beautiful a stelle e strisce. Qui se non drizziamo le antenne ci superano anche sulle cose su cui dovremmo essere leader.
Del resto, che la svolta sia in atto di là dell’Atlantico lo si era già capito a marzo, quando a Davis, Usa, l’Università della California ha organizzato un convegno dal titolo esplicito: «Terroir 2006». Quattro giorni di lavori. Duecento produttori e tecnici paganti. Tutti lì a parlare e sentir dire di terroir. Lo racconta un agronomo italiano che a quel convegno c’è andato come relatore. È Maurizio Gily. Ne scrive sul numero d’ottobre di «Slowfood». Narra come si sia trattato d’un summit teso appunto «all’inquadramento di un concetto, quello di terroir, che fino a pochi anni fa si sentiva spesso liquidare, in quel paese, con due sole parole: French bullshits, stronzate francesi». Invece, altro che stronzate. Bisogna finirla di pensare che ‘sti americani facciano solo vinoni omologati al gusto cosiddetto internazionale. «La novità – sottolinea Gily – è che, almeno per i vini destinati a consumatori più attenti e raffinati, si assiste, anche nel Nuovo Mondo, al fenomeno opposto: cioè la rivendicazione dei valori del terroir, quindi della diversità e dell’originalità».
Ragazzi, adesso sì che si fa dura. Ma, animo! questa qui è anche un’opportunità. Purché i vigneron del vecchio continente tornino ad essere fedeli alla loro storia, alla loro terra, alla loro umanità.
Caro Italian wine producer, «tu vuo' fa' ll'americano, mericano, mericano... ma si' nato in Italy! sient' a mme: nun ce sta niente 'a fa'...» È ora di tornare a casa. Adesso. Con orgoglio e passione.

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