mercoledì 9 agosto 2006

Amarone dei nuovi mondi: dall’Australia (e dal Sudafrica) con appassimento

Angelo Peretti
Giuro, è l’ultima puntata (ma scrivo, ed è impresa da contorsionista, con la dita incrociate: mai fidarsi dei giornalisti, mai...). Però non posso mica chiudere con la storia degli «altri» Amaroni, quelli che la Valpolicella non l’hanno mai vista, senza fare un salto in Australia. E in Sudafrica. Ma, sia chiaro, qui si tratta di vino-vino, mica di kit fai da te, come quelli di cui ho detto nelle puntate precedenti.
Ordunque, si comincia.
Barossa Valley, Australia meridionale. «Barossa è il distretto australiano più grande per il vino di qualità» scrive Hugh Johnson. E dalla zona vengono alcuni Shiraz da sballo. Dice niente il nome di Penfolds? Il suo Grange lo assembla qui. Mica scherzi, ragazzi.
Bene, in Barossa Valley ci si fa anche l’Amarone. In etichetta c’è scritto proprio così: Amarone.
Frank Mitolo, a Virginia, McLaren Vale, in Barossa Valley, fa il Mitolo Serpico Cabernet Amarone. Greg Hobbs produce l’Hobbs Amarone. Io non li ho mai assaggiato. E dico purtroppo. Perché a leggere cosa ne scrive qualche collega anglosassone, be’, potrebbe valere la pena.
Se avete in mente di farvi un’idea della realtà della New Barossa, degli emergenti della zona, andate a dare un’occhiata sul web a The Wine Anorak (l’indirizzo è www.wineanorak.com: è cliccabile, se volete andarci da qui). A guidare questo bel winemagazine è Jamie Goode, giornalista britannico che ha messo la firma su articoli pubblicati da alcune delle più prestigiose testate di settore. Bene, sul sito ci potete leggere un reportage, appunto, sulla New Barossa, realizzato fra settembre del 2004 e ottobre del 2005. C’è il profilo di alcune realtà produttive che si stanno affermando. Con la recensione dei vini.
All’Amarone made in Australia di Frank Mitolo, annata 2003, vengono tributati 92 centesimi, che è un votone. Il nome del vino, Serpico, viene – spiega l’articolo, minuzioso – da quello del famoso poliziotto. «Credo che possano mettersi nei pasticci – dice The Wine Anorak – se gli italiani vedono il nome Amarone sulle etichette». E non ha mica tutti i torti. Il vino viene realizzato facendo appassire l’uva dalle cinque alle sette settimane prima della fermentazione sulle bucce, che dura tre settimane. Com’è? A leggere la recensione, un bel vinone, denso e profondo, con tanto frutto nero dolce. Speziato, grasso. Very excellent, il giudizio.
Greg Hobbs, adesso. La recensione, qui, presenta due diverse annate del suo Amarone: 2002 e 2003. Alla prima viene assegnato un punteggio di 93 centesimi, all’altra un ranking fra i 92 e i 94 centesimi: ragazzi, che botte! Anche qui frutto. Frutto e complessità, e finale dolce. «Fantastic» è la valutazione. Le uve sono fatte appassire su qualcosa di molto simile alle arèle intelaiate che s’usavano una volta in Valpolicella. E lo stesso metodo in azienda viene impiegato per fare dei vini dolci bianchi.
Torzi Matthews non chiama Amarone il suo vino fatto sulle arèle (c’è la foto: sembra proprio di essere in una casa contadina del Veronese), ma è il web magazine che parla apertamente di Amarone style. Perché il 50-60 per cento delle uve vengono fatte appassire in maniera che in Valpolicella si direbbe tradizionale, e poi si vinificano insieme alle uve fresche da raccolta tardiva: una specie di Ripasso di quelli in voga oggi.
Do you understand? Qui hanno imparato. E mica solo qui.
Asara Wine Estate, Stellenbosch, Sudafrica. L’azienda è di quelle note. «Vecchia tenuta, con recente cambio di nome (era Verdun). I rossi hanno subito una trasformazione impressionante, con rossi elegantemente boisé»: è Hugh Johnson a scriverlo. Il 13 dicembre dell’anno scorso, Asara ha diffuso un comunicato in cui annunciava la nascita un un Amarone-style wine. «Ispirandosi all’Amarone italiano – c’è scritto – il winemaker di Asara, Jan van Rooyen, ha realizzato una ricerca indirizzata a crea un vino che segua la tradizione dei produttori della regione nordorientale del Veneto. Il risultato è l’Asara Avalon, che viene ottenuto da uve che sono state lasciate ad appassire in vigna, ottenendo una concentrazione naturale di aromi e colori. Mentre un tipico Amarone italiano è fatto con un blend di Corvina Veronese, Rondinella e Molinara, il vitigno-madre scelto da Asara è il Pinotage, aggiungendo così una dimensione unicamente sudafricana a questo vino infuso di classe e stile italiano».
Ullallà: cari amaronisti & valpolicellisti born in Verona, state facendo scuola, ed è il lato buono della medaglia. Che vuol dire che sull’altro lato c’è scritto: vi copiano, e bene, oltretutto.
Come ho già detto, c’è un comunque un che di positivo in questa voga dell’Amarone style. Ed è che il vino valpolicellese è diventato una star, è riconosciuto come una griffe del made in Italy. Si imita quel che ha successo. Ma non è che la situazione rischi di sfuggire un po’ di mano?

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