sabato 5 novembre 2005

Del novello e dei dubbi del bevitore

Angelo Peretti
Così è arrivato di nuovo anche il novello. Portandosi dietro le discussioni di sempre. Con gli ostracismi di chi non ne vuol neanche sentir parlare. Non ne avrei parlato qui neanch’io, ma siccome in tanti me ne chiedono notizia, ho pensato di riproporre quasi integralmente su InternetGourmet.it un pezzo che ho scritto per la pagina del gusto del quotidiano «L’Arena» dello scorso 4 novembre. La pagina la cura Morello Pecchioli, giornalista di bella penna e gran gourmet: è stato lui a chiedermi di parlare di novello. Dato l’interesse che l’articolo ha destato, ci ha visto giusto anche stavolta: sotto sotto, il novello intriga. Ecco qui di seguito il testo.

Se avete il buon tempo d’aggirarvi fra le pagine di Internet tra forum e blog a soggetto vinicolo, vedrete un gran discorrere di novello. Perché, come dice la legge, «alle ore 0,01 del 6 novembre dell’annata di produzione delle uve dalle quali i vini di cui trattasi derivano» ha inizio la commercializzazione del novello del 2005. Solo che le discussioni dei naviganti del web non sono generose col novello. L’accusano di non essere vino. Arrivando a definirlo una «bevanda alcolica». A scriverne sono più i detrattori che i sostenitori. Ma se ogni anno di novello italiano se ne vendono qualcosa come quindici-sedici milioni di bottiglie, a qualcuno deve pur piacere.

Intanto, cerchiamo di capirci. Il novello non è un vino «nuovo», non è una sorta di «torbolino». Perché non lo si produce – o meglio, non lo si dovrebbe produrre - con la solita fermentazione alcolica. Di mezzo c’è la cosiddetta «macerazione carbonica». Una tecnica inventata in Francia negli anni Trenta. Già: la primogenitura dei novelli spetta ai francesi. Noi, in Italia, li abbiamo copiati, per emularne il successo commerciale, con sessant’anni di ritardo. Solo che abbiamo voluto essere più «furbi» di loro, e allora non solo abbiamo previsto di uscire sul mercato il 6 novembre anziché il terzo giovedì del mese come accade per il celebrato Beaujolais Noveau, ma addirittura abbiamo previsto che la macerazione carbonica sia obbligatoria appena per il trenta per cento del vino, contro il cento per cento dell’obbligo transalpino. Il resto, a casa nostra, può essere vino tradizionale. Il che lascia spazio all’infinita fantasia italica. E nel consumatore può insorgere il sospetto che la dicitura di novello celi una «rinfrescatina» del vino rimasto invenduto dall’anno prima.

Perché è importante la macerazione carbonica? Perché è questa, solo questa, la tecnica che rende inconfondibili, unici i vini novelli, conferendo loro i freschissimi, fragranti, gradevoli, intriganti sentori di piccoli frutti, succosi e invitanti. Così pure è da questo metodo che si trae quel simpatico color porpora che hanno - o dovrebbero avere - i novelli. Vediamo, grosso modo, come funziona. I grappoli, che devono esser sani, vengono posti in contenitori ermetici, nei quali si immette anidride carbonica. Nella vasca manca dunque l’ossigeno. Il fatto è che normalmente la fermentazione - ossia la trasformazione degli zuccheri in alcol - avviene grazie ai lieviti, che hanno bisogno appunto dell’aria per agire. In questo caso, invece, i lieviti, mancando ossigeno, non riescono ad attivarsi, e allora a muoversi sono gli enzimi contenuti nell’uva. Sono loro che, dentro l’acino, cominciano ad attaccare lo zucchero, trasformandolo in alcol. Quando il processo è giunto a saturazione, le uve sono pronte per una lieve pigiatura. Il novello, di fatto, è bell’e pronto. Ricco di giovanili afrori. Il trucco è tutto qui. Così fanno i francesi, che sono maestri nel ramo.

Insomma: il novello non è che non sia vino. È vino fatto in maniera diversa. E quand’è fatto bene può essere piacevolissimo, beverino, sbarazzino. Semmai c’è un problema di durata. Perché la metodologia di lavorazione fa sì che manchino quasi del tutto i tannini, che sono dei conservanti naturali. Dunque il vino non è particolarmente longevo. Meglio consumarlo in tempi brevi: cinque-sei mesi. Diciamo che finisce il ciclo vitale attorno a Pasqua. A proposito: se di novelli ne trovate qualcuno che vi piace in modo particolare, conservatene una bottiglia da stappare con l’agnello, e non ve ne pentirete.

Il problema, si diceva, è che la legge italiana è elastica. Non c’è, che noi si sappia, disciplinare italiano che prevedeva la sola macerazione carbonica per il novello. Al massimo s’arriva all’ottantacinque per cento, come nel lodevole caso del Bardolino, primo novello ad aver ottenuto la doc nella storia nazionale: era il 1987. Sia chiaro: non è vitato usarla in via esclusiva la macerazione carbonica, ma altrettanto non c’è nessuno che, purtroppo, la imponga. Occorre dunque legger bene le etichette: il novello ideale è quello per il quale è scritto che s’è ottenuto «interamente» o «esclusivamente» con la macerazione carbonica. Un generico accenno a questa tecnica non basta. Nel dubbio, meglio informarsi scorrendo i disciplinari delle varie doc. Preferendo le denominazioni che prevedono i limiti più elevati.

Per il 2005 c’è forse un altro problemino. Si diceva che i grappoli devono esser sani, perché i processi di trasformazione che, attraverso l’azione degli enzimi, danno vita al novello, avvengono dentro l’acino. E l’acino deve aver buona pelle, solida e tesa. Cosa che non sempre è stata possibile col tempo bastardo che ha fatto. Per le troppe piogge tanta uva s’è ridotta ad aver buccia sottile, che si rompeva a guardarla, quando non era attaccata da muffe. Come sarà, dunque, il novello 2005? «Lo scopriremo solo vivendo» cantava Lucio Battisti. Ma le condizioni non ci sono sembrate ideali: speriamo di sbagliarci. La regola allora è questa: se potete, assaggiate prima di comprare. Magari partecipando a una delle tante fiere di presentazione dei novelli in programma in questi giorni. Ché son cresciute come i funghi.

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