mercoledì 9 novembre 2005

Il sogno incarnato nel merlot: Nepomuceno

Angelo Peretti
Per gente acquatica come il sottoscritto, il nome di san Giovanni Nepomuceno è discretamente noto. Il nome solo, si badi, ché del santo è difficile si conosca la biografia (era un prete - ho letto - e ha fatto brutta fine, legato, imbavagliato e gettato nel fiume per aver appoggiato l’arcivescovo di Praga nella lotta contro il re). Fatto sta che è il protettore dei naviganti, di chi lavora sull’acqua, dei pescatori. Ecco perché l’affinità con la gens aquatica. A Garda, poco fuori della porta occidentale del centro storico, c’è una nicchia con la sua statuetta.
Si chiama Nepomuceno anche un vino d’entroterra lombardo. Ora, non è che i concorsi enologici mi eccitino più di tanto, ma devo ammettere che m’ha fatto piacere vederlo premiato alla rassegna dei merlot italiani ad Aldeno. Per due motivi. Primo, perché il Nepomucemo 2001, merlot in purezza, è davvero un gran bel vino. Secondo, perché dietro c’è un progetto. C’è una passione, anzi, più d’una. C’è una storia.
Il vino lo produce Cantrina, piccola azienda di Bedizzole. O meglio, Cantrina di Cantrina, ché l’aziendina ha mutuato il nome dal minuscolo borgo della campagna bedizzolese, ultimi lembi delle colline modellate dai ghiacci che formarono il bacino del Garda, millanta e millanta anni fa. A Cantrina c’è una donna, Cristina Inganni. Che continua a coltivare il sogno che fu di Dario Dattoli. Lui su quella collinetta appena accennata, nel declivio a lato d’un vecchio cascinale in stile lombardo, aveva avuto l’illuminazione: ricavarci una sorta di chateau bresciano, piantando vigne francesi là dov’è tutto groppello e marzemino. Eccolo qui il progetto. Improntato e subito infranto dal destino. Ma Cristina ha voluto, cocciutamente, andare avanti. Dar concretezza all’utopia. Trovando lungo la via il sostegno di Diego Lavo, suo compagno d’oggi. E la consulenza d’altri visionari: il team Zymè, Celestino Gaspari in primis, uno che i vini li fa solo se sono estremi, ché sennò non lo intrigano abbastanza.
Ora che le vigne han cominciato a farsi adulte, il terroir s’è confermato quello intravisto. Ed è il Nepomuceno a far da apripista della crescita qualitativa, rapida e per certi versi entusiasmante in una zona che le novità le offre col contagocce. Se il merlot di Cantrina edizione 2000 dava soddisfazione tanta, la versione 2001 è balzata ancora più avanti. Varietale che di più non si può: il peperone verde che ti salta al naso, deciso, il frutto rosso che gli fa da sfondo, il tannino fitto fitto, la speziatura sottile e aristocratica. Rosso d’avvolgenza. Di robusto corpo. Di succosa e masticabile quasi possenza. Di lunghissima persistenza. Di beva appagante.
Come ci si è arrivati? Piantando vigna fitta. Poco terreno: un ettaro e 35 appena, in prevalenza d’argilla rossa. Resa minima. Raccolta fatta rigorosamente a mano in cassettine. Peccato solo che le bottiglie siano un nulla: tremila e basta. Da bere in parte, e in parte, se vi riesce, da metter via per vedere fin dove saprà arrivare. Questo Nepomuceno ha la stoffa del campione, credetemi.

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