sabato 1 dicembre 2007

L’equilibrio e il cristallo e il vino

Angelo Peretti
Equilibrio, equilibrio, equilibrio. È quel che cerco in un un vino. Insieme con la finezza, che però ne è, a ben pensarci, conseguenza. E son proprio contento che quella parolina magica la si sia ripetuta tante e tante volte al convegno veronese promosso da Angiolino Maule - leggi produzione biodinamica a Gambellara, ossia La Biancara - con la sua associazione VinNatur. Oh, sì che son contento, ché ho massimo rispetto per le teorie steineriane, per il biologico e il naturale e quel che volete voi, ma anche - permettetelo - per chi fa con serietà agricoltura convenzionale, a condizione però che il vino che ne vien fuori, qualunque sia la pratica di fondo, sia di quelli che ti ricordi con piacere, perché t’ha donato emozione e perché qualcosa d’importante e d’unico t’ha raccontato. E quel racconto si dipana appunto, quando c’è, sull’equilibrio.
Ora, però, che l’equilibrio d’un vino lo si ricerchi non già - non solo - in cantina, ma soprattutto dal riequilibrio in primis della vigna e della terra che le è custode e forse madre, mi par cosa meritoria. Ed efficace. Dunque, ben vengano le teorizzazione e gli empirismi dei biodinamici e dei vigneron che s’autodefiniscono naturali e autentici. A condizione - ovvio - che autentici siano l’entusiasmo e l’impegno, e non ci si fermi al mettere il bio sull’etichetta, per far marketing a buon mercato, ché non è più tempo di bolla speculativa, e val la pena ricordarsi degli anni neppur tanto remoti del boom internettiano, quando bastava mettere una e davanti al nome di un’azienda - e farla diventare appunto un’e-qualcosa - perché il titolo schizzasse in borsa, salvo poi ritrovarsi con un pugno di mosche di lì a poco. Ecco: non si faccia l’errore, ché non funziona (più).
Premesso tutto questo, d’entusiasmo n’ho trovato parecchio fra i seguaci e i colleghi e i maestri d’Angiolino. E magari in qualcheduno di loro anche un pochetto di radicalismo, se non settarismo, ma son peccati di gioventù. Purtuttavia mi par d’aver capito che la fase d’infatuazione sta tramontando per lasciar posto a un positivo e sano realismo, che induce a ben sperare. E più di tutti m’è piaciuto, in questo, Christian Marcel, che pratica la cristallizzazione sensibile, e ha tenuta una relazione che dir fascinosa è poco. E il protagonista, questo Marcel, m’è parso persona rigorosa e trasparente e per nulla orientato a far commercio. Tant’è che ha ribadito che si tratta - il suo - d’uno strumento di ricerca, e non ancora d’una scienza esatta. Che evidenzia o può evidenziare, però, cose che sfuggono alle analisi convenzionali.
La sottolineatura è questa: l’approccio scientifico porta all’analisi fisico-chimica, che molto spiega, ma non tutto. L’inspiegato può interpretarsi in forma antroposofica, e la cristalizzazione sensibile è in quest’area. Ch’è magari soggettiva. Ma offre un plus che sarebbe assurdo passar sotto silenzio solo perché la scienza ufficiale non se n’è ancora occupata a fondo e dunque neancora ha emesso - o voluto emettere - il proprio parere. E insomma: non tutto è spiegato e spiegabile con la scienza ufficiale, e neppure con l’antroposofia, vivaddìo, e dunque ancora molta è la strada da percorrere, ma comunque il metodo è ormai da lungo sperimentato, e dunque affianca ed integra - per chi vuole - l’analisi scientifica.
Ora, va detto che questa cristallizzazione sensibile è metodologia nata una settantina d’anni fa sulla scorta dei suggerimenti di Rudolf Steiner, che del pensiero biodinamico è il padre. La faccenda funziona - a soldoni - così: su un disco di vetro, s’aggiunge del cloruro di rame ad un estratto di sostanza organica o minerale. L’interazione fra il rame, che è il conduttore, e la carica elettromagnetica delle molecole in soluzione fa sì che si formino, sul dischetto, figure in forma di cristalli, immagini geometriche capaci in qualche modo esprime le forze della materia. Il problema è dar corretta lettura a quei cristalli. Ma se questo riesce, ecco che se ne traggono indicazioni utili assai sulla sanità del luogo o della pianta o del vino, sui rischi di malattia della vigna, sulle dinamiche del terroir, sulla correttezza dei portainnesti, sulla felicità della cuvée, sulla capacità d’invecchiamento. Detto così può sembrar velleitario, ma prove e riscontri porterebbero a dire che funziona, andando a dar spiegazioni possibili, plausibili, laddove l’analisi convenzionale non giunge, e dunque supportandola e arricchendola. Non m’addentrerò oltre nella questione (chi volesse saperne di più vada al sito www.vinimage.com).
Ora, mi soffermo invece un momento su una frase che ha detto Pierre Paillard, che ha guidato i lavori del convegno: «Ciò che conta - ha affermato - è la realtà dei fatti. Se la teoria non è in grado di spiegare i fatti, è la teoria che va cambiata, perché i fatti rimangono». In fondo, il cammino verso la conoscenza s’è sempre basato su osservazioni di questo genere. E dunque avanti con le sperimentazioni. E con la biodinamica e il naturale. Cum granu salis, però: non credo ai millenarismi, e detesto i settarismi. E cerco di prender quel che c’è di buono da tutti.
E può figurare abritrario dir che la chimica fa morir la terra e distrugge il terroir - ed è possibile e probabilmente è anzi vero - ma nel contempo applaudire metodi che comunque il terroir lo modificano. Che altro non è, se non un modificare il terroir, il metodo illustrato al convegno - applauditissimo, appunto - che per mezzo dell’estensione interrata d’un filo di rame attorno al vigneto favorisce, incidendo sui campi elettromagnetici, il deflusso dell’acqua in eccesso? Vero è che con la procedura in questione la vigna si fa più sana ed integra e perfino più equilibrata nella vegetazione e nella fruttificazione. Vero anche però - mi pare - che la correlazione fra vigna e suolo e clima è artificiosamente modificata, e dunque dov’è il rispetto rigoroso del terroir? Così la penso, e posso aver torto, ovviamente.
Spero anch’io, comunque, che si possa essere alla vigilia d’un nuovo umanesimo, come ha osservato Pierre Paillard. E che si possa avere un rapporto rinnovato con la vita e con la natura. E che ciascuno possa metterci del suo: «Cambiare globalmente - parole di Paillard - non è possibile. Bisogna che ciascuno cambi individualmente nel proprio ambito». Condivido. Senza però pretendere che il proprio cambiamento sia per forza l’unico e sia il solo corretto.
In ogni caso, è vero: sono i fatti che restano. E i fatti mi dicono che negli ultimi anni ho bevuto vini fascinosi sia in biodinamica che in tecnica convenzionale. Ma anche che quand’incontri il biodinamico ben fatto, allora nel bicchiere hai vino da urlo. E che te n’accorgi all’assaggio, mica dall’etichetta. E questa personalità e ricchezza ed equilibrio che ci ritrovi ti fan riflettere (e gioire). E qui siam tornati, all’equilibrio. Che prima del vino va ricercato in vigna e nella terra. Epperò prima ancora che in vigna e nella terra, ritengo, nella mente e nel cuore.
Ultima cosa, per sdrammatizzare, ché m’accorgo d’esser stato serioso. Un voto al convegno: alto per la partecipazione, alto per i contenuti, alto per i relatori, bassissimo e insufficiente per il break, ché non è possibile sentir parlar di vino per due giorni e trovar solo acqua minerale e succo d’arancia in cartone. Insomma: un goccio di bio-vino l’avrei pur bevuto... Vabbé, mi son rifatto, poi, a casa.

Nessun commento:

Posta un commento