sabato 13 ottobre 2007

E se l’appassimento cattivo scacciasse quello buono?

Angelo Peretti
In economia, e più spesso da qualche tempo nel politichese, si cita spesso la cosiddetta legge di Gresham. Quella che afferma che la moneta cattiva scaccia quella buona. A dire il vero, sulla paternità di quest’asserzione s’è fatto un gran discorrere: pare addirittura che non sia stato nemmeno sir Thomas Gresham, agente di commercio britannico del Cinquecento, a definirla per primo. Chissà. Così pure ci si è spesso accapigliati sulla sua interpretazione autentica. E siccome questo non è un web magazine che s’occupi rigorosamente di temi economici, ecco che della legge di Gresham ripropongo una delle letture più elementari (e correnti), osservando che nel tempo si è sempre stati portati a spendere, a parità di valore nominale, le monete con peggiore contenuto metallico e a conservare invece - ed anzi accumulare - quelle con un pelo più, che so, d’oro o d’argento. In fondo, facciamo così anche adesso che c’è la moneta di carta: prima diamo via quella sgualcita, preferendo tenere nel portafoglio quella messa meglio, quella fior di stampa, come direbbero i collezionisti.
Perché quest’incipit para-economico su questo giornale che parla di vino e (più raramente, l’ammetto, e dovrò rimediare) di cose mangerecce? Perché temo che la legge di Gresham, un po’ riadattata, possa finire per applicarsi al vino. E in particolare al vino di Valpolicella. A quello più quotato: l’Amarone. Figlio dell’appassimento.
Non vorrei che in futuro si dovesse dire che l’appassimento cattivo ha scacciato quello buono. E cerco di spiegarmi.
Sono un po’ preoccupato per come vedo mettersi le cose in terra valpolicellese, sissignori. E mi dispiace, perché da quelle parti ho parecchi amici. Ma una riflessione credo vada tentata. Sperando che quanto andrò dicendo si riveli sbagliato, sbagliatissimo. Che si tratti solo d’allucinazioni.
L’Amarone, si sa, va forte. L’uva da appassimento (perché - chiederanno i maligni - ce n’è anche dell’altra che non va nei fruttai, in Valpolicella?) costa un occhio della testa. La terra ha assunto quotazioni fuori da ogni previsione. Bene: i vigneron della Valpolicella han potuto mettere fieno in cascina.
Solo che il successo dell’Amarone ha scatenato la fantasia. E la bramosia. Ed ecco che l’appassimento non è più peculiarità solo del rosso amaronista (e del di lui storico padre, oggi reietto, il Recioto, che adoro), ma s’utilizza, direttamente o meno, per figliocci e figliastri. Figlioccio è il Ripasso, e anch’esso ha gran presa sul mercato. Figliastro è ogni rosso igt che s’avvalga, appunto, d’uva fatte seccar nei fruttai, e ne vien fuori di tutto e di più.
Il Ripasso consiste nel far rifermentare il Valpolicella sulle vinacce dell’Amarone. In questa maniera il vino assume afrori tipici dell’appassimento. E cresce in struttura e complessità. Il problema che ci si è fin da subito - giustamente - posti in terra valpolicellese era quanto Ripasso fosse lecito produrre a fronte dell’Amarone tirato fuori dall’uva d’origine. Si è giunti a stabilire che le vinacce che hanno prodotto un quintale d’Amarone possono essere adoperate per far rifermentare due quintali di Valpolicella. A me, onestamente, sembra un po’ troppo, ma capisco: business is business. E sia. Solo che non s’è pensato che, fatta la pentola, occorreva fare anche il coperchio. E così in Valpolicella sulle vinacce dell’Amarone è nato, appunto un business.
La faccenda è questa. Mettiamo che io sia un produttore di quelli che non vogliono fare troppo Ripasso. Diciamo che ho prodotto un quintale d’Amarone e sulle sue vinacce ho ripassato un solo quintale di Valpolicella. Mi trovo virtualmente in mano diritti di Ripasso pari a un quintale, su quelle mie vinacce. Che faccio, li spreco quei diritti ripassevoli? Macché: li vendo! E piglio soldi anche lì. Così un altro può acquistare quelle mie carte e far ripassare il suo bel quintale di Valpolicella sulle mie vinacce. E dunque il Ripasso assume numero impressionanti. Senza però badare alla qualità del Valpolicella di partenza. Ed è un guaio, ché ormai il Ripasso è visto come una sorta di piccolo Amarone: non s’usa forse diffusamente questa definizione? Col prezzo che al massimo è la metà di quello dell’Amarone, ma quasi sempre scende molto, molto più in basso, a un quarto, un quinto.
Ma non basta. Gli è che in Valpolicella a far l’appassimento delle uve son maestri. E i fruttai sono perfettamente funzionali, addirittura computerizzati. E allora perché usarli solo per appassire le uve da Amarone? Si mette ad appassire anche altra roba: che so, uve che non sono adatte, corvine che non finiranno mai nei rossi importanti, cabernet piantati in modo un po’ avventato un decennio fa sull’onda delle mode americaneggianti. E alla fine ci si ricavano rossi d’una certa struttura che riecheggiano nei toni l’originale amaronista. Magari, ci si taglia insieme anche qualche barrique del potenziale Amarone meno riuscito, che non pare idoneo per la doc del vino principe, e il gioco è fatto: è nato il super-red appassimento style. Ed escono decine e decine d’igt di fantasia (ma sono in verità centinaia, credetemi). Vagamente amaroneggianti, appunto, ancorché di qualità sovente incerta. A prezzo però quasi sempre ancora più basso del Ripasso.
Così, può succedere che la stessa azienda, dal fruttaio tragga un Amarone - butto lì prezzi a casaccio - a 25-30 euro, un Ripasso a 9-10 e un rosso igt a 6-7. E il tutto va, ovviamente, venduto. Magari spedendo l’igt ai mercati emergenti, quelli che ancora non sono capaci d’assorbire bancali d’Amarone.
Già, ma se su quei mercati imparano che un rosso valpolicellese d’appassimento costa 7 euro, come farete poi, cari vignaiuoli di Valpolicella, a spiegare che un altro rosso pur’esso d’appassimento della vostra terra costa quattro volte tanto, ancorché si chiami Amarone? E con tutto quel Ripasso che gira, poi, e che ha botte d’alcol sopra i 14 gradi, e che quindi amaroneggia vieppiù, non ci sarà il rischio d’un effetto sostituzione, per via del prezzo, su tutta quella fascia di wine drinkers che di spendere certe cifre non se lo possono (più) permettere? E non c’è forse il pericolo che l’appassimento peggiore scacci quello migliore, e che dunque il Ripasso scacci l’Amarone e l’igt scacci il Ripasso?
L’ho detto di recente a qualche valpolicellista. Uno, sull’uscio della sua ultramoderna cantina, ha allargato le braccia e, sorriso stampato in faccia, m’ha ribattuto: «Finché li vendo io li faccio, vorrai mica che butti via tutta quella roba...» Già, finché li vendi, quei rossi, prendi e porta a casa. Ché il conto in banca cresce. Poi si vedrà.
Oh, sì, forse queste cose le scrivo perché ho mangiato male, e faccio un po’ fatica a digerire. E dunque son d’umore cupo. Eppoi per me ottobre (il primo autunno) è tempo gramo, da sempre, e mi deprime. Forse, sì, le scrivo per questo, certe cose. O forse no.

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