sabato 8 luglio 2006

Top ten secondo me: le migliori bottiglie bevute al giro di boa di metà anno

Angelo Peretti
Et voilà, si torna a far classifica. Mica quella dei mondiali pallonari. Quella dei vini, invece. Già: perché limitarsi a dire quel che t’è piaciuto quando lo fan tutti, a fine d’anno? Se proprio devo far graduatorie, tanto vale provarci al giro di boa, alle vacanze estive. Oltretutto, può servire a vedere se nel secondo semestre troverò di meglio, di più. Considerando che con luglio capita di provare molti vini destinati alle guide, e dunque sono centinaia e centinaia gli assaggi.
M’accorgo peraltro, scritta la selezione (e voi, se avete la pazienza di seguirmi, la leggete più avanti), che sono stato abbastanza ecumenico. Tre rossi di Francia e due d’Italia. Due bianchi francesi, due italici, un tedesco.
Su tutti, metto il tedesco, un Riesling di gran fascino, un ’90, quello dello Schloss Reinhartshausen. Ma sono forse un po’ partigiano, ché il vitigno mi piace, mi piace tantissimo, quando cresce nella zone vocate, che sono poi il Reno germanico e quello di Francia (l’Alsazia) e la Mosella ancora in terra tedesca. E subito dopo un altro Riesling, of course, nella mia personale top parade. Stavolta alsaziano, di monsieur Josmeyer. Due esempi d’equilibrio. Quasi perfetto.
Piuttosto, m’interrogo sul futuro del vino. Sulle tendenze che verranno. Un’opinione in proposito me la son fatta, ma non pretendo d’avere ragione. Ma vedo - intravedo - rossi sempre più morbidi e sul frutto (e da bere anche relativamente giovani), e bianchi invece che giocano sulla tensione acida, sulla freschezza capace di dare slancio anche nel tempo. Due strade divergenti. Non so se davvero questo accadrà per davvero, ma mi sembra che la tendenza sia questa. Anche se non si può ovviamente assolutizzare.
Ma se davvero questa fosse, non mi piace granché quella de’ rossi, salvo eccezioni, e in classifica una d’eccezioni la troverete: il Parallele 45 di Paul Jaboulet Ainè, esempio dello stile montante (vorrei però nel rosso maggior complessità aromatica e nel contempo snellezza: amo Bordeaux, quand’è vecchio). Mentre approvo - senza condizione - quella bianchista, e in Italia ce n’è almeno uno di fuoriclasse di questa nouvelle vague, ed è il Fiano dei Colli di Lapio, che troverete in chart di seguito.
Ora, la classifica dunque. Li indico, i vini, in ordine d’età. D’annata, intendo. Senza distinzione di patria. Dividendoli solo fra rossi e bianchi. Cinque rossi, cinque bianchi. Par condicio, signori.

ROSSI

St.-Émilion Gran Crû Classé 1970 Chateau Fombrauge
Miseria che slancio giovanile che ci ho trovato in questo rosso bordolese ormai più che trentacinquenne. Il naso non era di quelli indimenticabili, e d’altro canto l’abbiamo aperta, la bottiglia, e subito ripartita nei bicchieri. Ma la bocca, ragazzi. Che succosa freschezza. Quasi vinosa. Piena di vita. Ricca di frutto. Trovarne, di vecchietti così. Bottiglia bevuta ai primi d’aprile.

St.-Émilion Gran Crû Classé 1982 Chateau Fonroque
L’82 è stata, a St.-Émilion, terra bordolese, un’annata di quelle buonissime, d’eccellenza: 98 centesimi la valutazione, a leggere Tom Stevenson. E questo vino lo dimostra. M’è piaciuto un sacco. Proprio. E peccato non averne altre bottiglie in cantina. Rosso d’estrema eleganza. Integro nel colore. L’ho trovato pulitissimo nell’approccio olfattivo in lenta, continua evoluzione fra note di frutto, di spezia, di cuoio, d’idrocarburi, perfino. In bocca, il frutto lo si masticava addirittura. Eppure c’era snellezza. E tensione. Gran vino. Bevuto all’inizio d’aprile.

Amarone Classico della Valpolicella 2001 Zenato
Nossignori, non è la Riserva, ché quella l’ho solo provata en primeur, e se tanto mi dà tanto finirà nella top di fine anno, alla nuova bevuta. Questo è l’Amarone basic. Che già m’era piaciuto a luglio dell’anno passato ed ora, ritrovatolo, ne ho amato l’evoluzione. Ed ha, questo rosso, trama fitta e complessa. Eppure sa farsi bere con piacere disteso e vibrante. Bell’Amarone davvero: da comprare e gustar subito oppure metter via, ché avrà vita lunga e bella. Ribevuto a marzo.

Cotes du Rhône Parallèle 45 2001 Paul Jaboulet Ainè
D’accordo, d’accordo: c’è ben altro vino in Cotes du Rhône. E questo è «solo» il rosso di base di Jaboulet. Ma porca miseria che base! Ce ne fossero di vini così piacevoli, così succosi di piccolo frutto, di mirtillo e d’amarena. Così lunghi nella persistenza. Così giovani dopo un quinquennio quasi. Così accettabili nel prezzo, oltretutto, ché qui non s’arriva alla decina d’euro neanche comprandolo su Internet. Ve lo dico io: sarà anche un vino di base, ma rimpiango fosse l’ultima boccia, questa, del 2001. Bevuto a Pasqua, coll’agnello.

Quaiare 2003 Le Fraghe
E sì, l’ho scritto e lo ripeto: è il vino di riferimento, questo Quaiare del 2003, per chi fa rossi sulla sponda veneta del Garda. Magari non sarà il miglior Quaiare di sempre, ma adesso ha finalmente un’anima e uno stile che sono inconfondibili e portano la firma chiara e limpida della mano femmina che lo produce, quella di Matilde Poggi. Vino snello e fragrante. Uno stile personale. Che sa di territorio. Di terroir. Buonissimo. Bevuto a fine aprile.


BIANCHI

Erbacher Hohenrain Riesling Spätlese 1990 Schloss Reinhartshausen
Ecco, il Riesling. Per me, non c’è bianco che tenga, di fronte a un gran Riesling. Tedesco. Invecchiato. E fra i Riesling che ho assaggiato in questo primo scorcio d’anno, questo l’ho trovato elegantissimo e splendido per equilibrio. Il frutto e la vena vegetale e citrina perfettamente integrati. La nota minerale che esce equilibratissima. La freschezza che rende lunga e appagante la beva. Fascinoso vino. Che ha lunga, lunga vita ancora davanti a sé. Ed è buonissimo oggi. Bevuto a giugno.

Soave Classico La Rocca 1993 Pieropan
Eh, già: non sono riuscito a sputarlo. Alle degustazioni più o meno ufficiali, metti in bocca tanti e tali vini, che ti tocca per forza sputarli, se vuoi evitare di finire knock out. E in genere diventa quasi automatico l’usare la sputacchiera. Ma questo no, mi sono rifiutato, Ché è vino buonissimo, da applauso a scen’aperta. In forma smagliante dopo tant’anni, e freschissimo, e giovine direi, e vibrante e nervoso e teso. Ha frutto denso e vene già minerali e lunghezza sorprendente e avvincente. Un gioiello. Un bianco italico che può reggere il confronto coi grandi di Francia e di Germania. Bevuto a fine maggio.

Alsace Riesling Grand Crû Hengst 1997 Domaine Josmeyer
Quando lo comprai, in Alsazia, in cantina a Wintzenheim, ero convinto d’aver fatto un bell’acquisto. Ma ribevuto a distanza i mesi, questo Riesling s’è mostrato anche sopra le attese, ed erano grandi attese. La vena minerale e quella fruttata s’intersecano, si fondono: una sorta d’amplesso, lunghissimo e passionale, e noi, coll’olfatto e il palato, ce ne facciamo voyeur. Che bianchi, ragazzi, su quelle coste rocciose dell’Alto Reno. Che mano, Josmeyer. Un capolavoro. Ribevuto a febbraio.

Menetou-Salon Morogues 2004 Domaine Henry Pellé
Mi piacciono terribilmente i sauvignon della Loira. Ma non conoscevo la denominazione Menetou-Salon, che certamente non è fra le più note. E dunque la bottiglia l’ho comprata per curiosità, perché era coup de coeur della guida Hachette del 2006. E meno male che ho letto l’Hachette, ché questo è bel bianco davvero. Freschissimo, denso di florealità, soprattutto di frutto bianco. Grande armonia al palato. E lunghezza. Dopo questa, ho comprato altre tre bottiglie: che volete vi dica di più. Bevuto a marzo.

Fiano di Avellino Clelia Romano 2004 Colli di Lapio
Oh, Signore, quant’è buono questo bianco. Uno dei bianchi più buoni che si possano trovare oggi in Italia. Gran vino di terroir eppure anche modernissimo. Bianco d’alta collina, che sembra più settentrionale che campano. E descrive i caratteri del vitigno e della terra in modo esemplare. Un tripudio d’erbe aromatiche e di cedro e di litchie e di pesca bianca croccante e integra. Una freschezza invitante. Un’armonia da applauso. Una lunghezza infinita. Bevuto a maggio.

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