sabato 25 febbraio 2006

Sia stramaledetto il prodotto di nicchia

Angelo Peretti
La nicchia: oh, che palle ‘sta nicchia. Non se ne può più: prodotto di nicchia di qui, prodotto di nicchia di là. «Sia stramaledetta ‘sta nicchia e chi l’ha inventata» ha detto chiar’e tondo Carlin Petrini, padre dello Slow Food, qualche sera fa a Verona. Permettetemi: lo ripeto anch’io e lo sottolineo pure: finiamola, please, con la nicchia.

M’era capitato di dirlo e ridirlo un mesetto fa circa in un intervento ch’ebbi a fare nel convegno che l’Uncem – leggasi l’associazione che riunisce i comuni e le comunità montane d’Italia – ha tenuto a Caprino Veronese. Tema: i prodotti tipici della montagna. Anche lì doveva esserci Carlin, ma ebbe altri impegni, e da Bra proposero che ci andassi io. Detto e fatto: grazie della stima. Ed ho partecipato volentieri, ché m’interessava sentire come i politici e gli amministratori dei monti italici la pensassero sull’agricoltura e sulle produzioni in quota. Ebbé: s’è parlato di nicchia, di nicchia, di nicchia, dal primo all’ultimo uomo delle istituzioni. Ed io che dovevo esser l’ultimo a parlare, ed era oramai ora fatta di pranzo, e bollivo, non ci ho visto più: «Piantatela di piangervi addosso», li ho invitati. E ho avuto, in risposta, volti perplessi. Come stessi intaccando un mito. O forse un rito.

Perché ce l’ho col prodotto di nicchia? Perché per me non esiste. Non deve esistere, aggiungo. Un prodotto è un prodotto: punto e basta. E come tale deve stare al mondo. Con dignità, rispetto, orgoglio. La nicchia è un’altra cosa: lasciamola alle chiese, ai cimiteri (c’è un che di funereo – s’ammetta – dietro il nome, un che di buio, di chiuso).

Mi spiego. Parlar di prodotto di nicchia è inutile e dannoso per due ragioni almeno.

La prima è che ha a che fare con la marginalità, con l’esser minoranza e crogiolarcisi pure. L’ho detto ai politici a Caprino: se in campagna elettorale andaste in giro a raccontar che la vostra è candidatura di nicchia, non avreste il sospetto che gli elettori v’accontenterebbero e vi lascerebbero a far minoranza, preferendo votare un altro che ha invece orgoglio d’uomo di maggioranza? Come se Casini (Pierferdinando, intendo) dicesse che, sì, insomma, lui è col Cavaliere, ma Forz'Italia è forte e l'Udc solo di nicchia. Come se Mastella sostenesse che, vabbé, l'Udeur è schieramento di nicchia nel contesto prodiano. Ve li figurate i sondaggi? Calo, direbbero. Invece mostrano orgoglio e incondizionata fiducia.

Secondo: la nicchia è un paravento comodo, comodissimo. Per giustificare il sapore cattivo, il difetto, l’improvvisazione. Un’arma letale nelle mani di chi non fa qualità e non gli passa neanche per la capa d’impegnarsi a far di meglio. Facile dire: «Ma il mio è un prodotto di nicchia». Legittimando il vino che puzza, il formaggio mal fermentato, la confettura acidula, il salume mezz’irrancidito. E nossiggnori: il prodotto ha da esser buono. Sennò, se lo tengano, se lo mangino (bevano) loro. E ci s’ingozzino pure.

Un prodotto è un prodotto, e deve saper star sul mercato. Anche se è fatto in poca quantità, anche se par piccola cosa in confronto all’enormità dell’industria multinazionale.

Un prodotto risponde alle leggi dell’economia. Che fa incontrare domanda e offerta. Che da quest’incontro trae i prezzi. Che sulla qualità percepita è disposto a pagare un surplus. E dunque, sia chiaro: chi fa qualità va valorizzato e premiato e mess’in luce, chi non fa qualità va aiutato a migliorare, chi viene aiutato e comunque non migliora è bene che cambi mestiere. Questione di giustizia, di equità. Mica devo far la carità al casaro incapace, al vignaiolo incompetente, al panettiere ignorante. Se un prodotto è buono, lo compro e me lo godo. Se non è buono, se lo tenga chi l’ha fatto. E impari e farlo. E se non impara, non lo faccia più, ché è meglio per lui e per il prossimo suo.

Perché prima di tutto un prodotto dev’esser buono, deve aver qualità. Anzi: concordo col titolo del libro che Carlin ha presentato a Verona: «Buono, pulito e giusto» dev’essere. Buono come sapore, come gusto, come fonte di piacere. Buono come sapere, come cultura, come tradizione autentica che si tramanda e si rigenera. Pulito perché figlio di terre pulite, di gente pulita, di menti pulite. Perché non sfrutta madre terra vilipesa. Ma ne è anzi rigenerante presenza. E giusto. Ossia al prezzo giusto, che non vuol dir piccolo, ma tale da consentire al malgaro, al pastore, al vignaiolo, al contadino di vivere del proprio lavoro e mantenerci la famiglia con dignità e decoro. Così che n’avremo un sovrappiù di salute ambientale, perché il montanaro che può tornare a guadagnare e vivere in montagna sarà il primo operatore della salvaguardia. A vantaggio di tutti.

Semmai c’è un problema diverso. Il prodotto, ho detto, è prodotto, e risponde alle leggi dell’economia, del mercato. Semmai, ecco, c’è bisogno di farlo conoscere. E se davvero ha un surplus di qualità, la s’ha da far percepire all’utente. Dunque: marketing, promozione. Che passi attraverso la percezione della qualità. Ergo, politici miei, abbiate un gesto d’orgoglio, e cominciate a promuovere chi lo merita davvero: l’ecumenismo aiuta a prender voti, ma non a fare mercato. Promuovere tutti in nome dell’egualitarismo è pratica iniqua e dannosa e ingiusta. Significa mettere allo stesso piano chi s’impegna e chi no. Significa prender’in giro il mercato. Che s’incavola e ti sbatte in faccia la tua supponenza egualitaria.

L’informazione è l’arma in più. È la via per far percepire la qualità al consumatore. Che potrà quindi capire, giustificare il prezzo maggiore che gli viene chiesto.

Eppoi, se il prodotto di montagna non sarà in grado di scendere a valle, ché non ha numeri e massa e distribuzione, allora bisognerà portar gente alla montagna. E questo potrà indurre ulteriore economia a chi vive sui monti.

Ma non ci si riuscirà mai piangendosi addosso, dicendo: «Oh, è prodotto di nicchia». Che nicchia del tubo! È prodotto di terra e di lavoro. È figlio della genialità espressa dal luogo. Ecco: ha ragione Petrini. Che dice ai produttori che possono esser sì piccoletti, ma orgogliosi del loro saper contadino: «Piccoli ma con autostima» invita. Sottoscrivo.

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