sabato 18 febbraio 2006

Fra consensi e dissensi: fa discutere il new Bardolino

Angelo Peretti
Ullallà, se fa discutere il new Bardolino! In posta elettronica ho cominciato a trovare il partito del pro e il partito del contro: proprio vero che siamo nei giorni del bipolarismo. È dibattito ancora fra pochi intimi, ma vivaddìo di Bardolino si torna a parlare. Fin qui, al massimo, erano sorrisetti ironici.
Ricapitolo. Qualche settimana fa ho scritto su InternetGourmet di quel che chiamo il new Bardolino style. In sintesi: dicevo che siamo alla buon'ora alla svolta nel (piccolo) mondo bardolinista. Che c'è chi non lo vuole più vino-bevanda. Solo che il mio pensiero mica tutti – com’è logico e giusto che sia – lo trovano condivisibile. Allora ecco che cominciano ad arrivare anche i dissensi. E meno male: il bello del parlar di vino è tutto qui.
Mi scrive per esempio Marco Simonetti: «Non ritengo il Bardolino un vino destinato ad essere consumato dopo l’anno di vita. Non perché non duri, ma perché perderebbe, secondo me, quelle caratteristiche di freschezza, di fruttato, che invece lo dovrebbero contraddistinguere. Non ha la struttura per durare nel tempo, a meno che o non si ricorra a super concentrazioni che ne snaturano le caratteristiche (e non mi riferisco a basse rese per ettaro: sono state provate, ma non danno enormi vantaggi in termini di struttura), o ad appassimenti che purtroppo sono sempre troppo spinti».
Cito questo passaggio intanto perché è d’esemplare chiarezza. Eppoi perché qui è il nodo. La matrice della diversa veduta. La spiegazione del sogno.
Ebbene: io non credo che il Bardolino debba puntare alla concentrazione così come la s’intende usualmente. Di più: non credo che la concentrazione di frutto e tannini e alcol e colore sia sinonimo di vino interessante. Non ci credo perché amo i vini di Bordeaux. Non ci credo perché adoro i vini di Borgogna. E nessuno di questi – se è ben fatto - ha quelle concentrazioni esasperate che sono state imposte come verbo vinicolo dai californiani di parkeriana scuola.
Il Bardolino ha storia. Ci furon tempi ch'era considerato vino di lignaggio, e lo si faceva affinare fin dopo l’estate – in botte grande, in vésa - nei Canevìni di Garda. Eppoi lo si esportava in Svizzera, per stare nelle carte dei grand’alberghi coi Beaujolais o i Bordeaux. E che si vuol tornare a fare un Bardolino che si rispetti, quella è la strada. E che quella strada oggi c’è chi la percorre, alla buon’ora. Pochi, magari, ma ci sono. Duplice strada. Una che ha lo sguardo volto a Bordeaux, nel senso che mira a vini che maturan più tardi e rimangono a lungo fragranti di frutto rosso e nervosi di vegetalità erbacea. L’altra che guarda al dettato borgognone (e guarda caso Beaujolais è Borgogna), puntando alla finezza, all’esilità quasi del frutto, eppure all’appagante – e lunga, anche nel tempo – presenza del sottobosco, di fragolina e lampone. Due scuole, un unico obiettivo: far finalmente Bardolino che non muoia con la prima estate. Oh, era ora!
Mica pretendo che il Bardolino abbia a durare per anni ed annorum. Però se c’è una cosa che mi dà fastidio assai è trovarmi in cantina una bottiglia - e garantisco che è sempre ben più d’una - che ho da stappare per il sol fatto che «mi scade». Succede ogni anno dopo l’estate che mi ritrovi vini dell’ultima annata così gracili e poverelli che non reggono altri mesi d’affinamento. Non se ne può oltre rimandare l’assaggio, quasi che fossero bevande gassate «da consumare preferibilmente entro il». Non posso esigere che tutti siano longevi, ma insomma, almeno il paio d’anni. Oh: intendo che nei due anni mica si limitino a sopravvivere, ma durino invece impeccabili e fors’anche migliorino un pelo.
Sissiggnori: un buon vino dev’esser buono per due o per tre anni almeno. Come accadeva un tempo al Bardolino. Come non è più accaduto da quand’è nato il disciplinare degli anni Sessanta, che ha aperto il campo al rosso para-industriale, al Bardolino easy wine, alla bevanda alcolica di nessun impegno. Oggi – era ora, insisto – in riva d’oriente del Garda si torna a lavorar bene in vigna & cantina. Poggiando sull’esaltante, multiforme simbiosi fra corvina e terroir. Mirando a non perder di vista - mai e poi mai - la piacevolezza di beva. Rinunciando invece al colore marcato e all’alcol ridondante. Inseguendo la concentrazione ch’è giusta, quella mai cicciona. Che invece consente al vino di restar fragrante e bello e piacevole e salino e succoso ben dopo il prim’anno. Ché il Bardolino è vino che s’ha, prima di tutto, da bere.
Ergo: nient’esagerazioni, nient'esasperazioni, ché non son cosa bardolinista. (Ed è per questo che non sono affatto convinto di molto, moltissimo Bardolino Superiore: non s'ha da scimmiottare il Valpolicella.) Ma occorre più rispetto, invece, per la vigna e la freschezza e sanità del frutto. Questo sta succedendo, e i primi esempi li ho voluti mettere in evidenza: Le Fraghe, borgognona d’impronta, e Giovanna Tantini, più bordolese invece. E aggiungo Corte Gardoni col suo Superiore e perfino la Santi col Cà Bordenis: il primo di pensiero ispirato alla Borgogna, l’altro che occhieggia a Bordeaux. Guarda caso.
Da Giovanna Tantini ci son stato ch’è poco. E ho fatto quel che per una Bardolino sarebbe stato follia solo a pensarlo, fino a qualche anno fa: una verticale. Una degustazione, intendo, di più annate in fila. Il 2002, il 2003 e il 2004, e niente invece 2005, ch’è ancora da imbottigliare. Qui sotto scrivo cos’ho trovato.
Il 2002. Fu la prima vendemmia di Giovanna. Fu vendemmia difficile e ostile. Di lunga pioggia. Ricordavo quel Bardolino come vino di vegetalità accesa e di tannino verde anch’esso, eppure di beva piacevole per freschezza. Ne ho ritrovato oggi il carattere, anche se ormai la stagione dell’oblio è prossima. Ma è un Bardolino 2002 che ancora si beve.
Il 2003 era pieno di frutto maturo, di ciliegia marasca. Aveva cenni di prugna, ma senza l’opulenza di certi vinoni cotti di quella caldissima estate. Lo rammentavo come vino da bere. Tal quale è ora. Il frutto integro, la beva appagante. Piacevolissimo. Proprio un vino che non ha perse per nulla «quelle caratteristiche di freschezza, di fruttato» che l’hanno da contraddistinguere.
Il 2004. Che ci crediate o no, non è ancora maturo del tutto, non è ancora al suo top. Va giù volentieri. Ma il frutto s’ha ancora da esprimere in pienezza. E il tannino, pur mai aggressivo, è ancora vegetale. E la freschezza è ancora nervosa. Il meglio lo darà – son certo – fra qualche mese ancora di bottiglia. Ed è già d’anno e mezzo d’età.
Ecco, quest’è quanto pretendo e voglio da un new Bardolino. Che è poi quant’accadeva un tempo. Quando il turismo ancora non c’era. E neppure il supermercato.
Ne parleremo ancora, penso. Ché il rinascimento bardolinista è solo all’inizio.

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