venerdì 24 marzo 2006

Quando il Nino raccontò la vera storia dell’Amarone

Angelo Peretti
Da sole varrebbero l’acquisto. Intendo le tre paginette di Enogea sulle quali Alessandro Masnaghetti riprende un’intervista che nel ’96 – dieci anni fa, e sembra ieri – fece a un grande vecchio del vino valpolicellese: Nino Franceschetti. Da leggere e rileggere, quelle parole. Da metabolizzare. Attualissime.
Passo indietro.
Chi sia Alessandro Masnaghetti direi che è abbastanza noto a chi si occupa di vino. Ma siccome il fantasma di Carneade è sempre lì pronto a colpire – e non me ne voglia Masnaghetti – dirò che è uno che scrive di vino, oppure, per darmi più tono, un wine writer. Aggiungo: uno dei più bravi, a mio avviso. Ha curato in passato la prima edizione della guida dei vini dell’Espresso. Avventura subito finita. Dopo un periodo sabbatico ha ripreso a pubblicare la sua newsletter bimestrale: Enogea, appunto, che aveva prima accantonato. E che – avviso - in edicola non troverete: se la volete, dovete abbonarvi. Senza pensare di vederci sopra foto a colori e carta patinata: poche pagine formato A4, bianch’e nero, immaginette formato francobollo, grafica essenziale, linguaggio diretto, niente pubblicità (ma proprio niente niente).
In questi giorni agli aficionados masnaghettiani è arrivato il quinto numero della nuova serie d’Enogea. Con una rubrica che s’è aggiunta: quella dell’archivio. Dov’è ripresa l’intervista del ’96: allora era uscita su Ex Vinis, la rivista di Veronelli, ché Masnaghetti ha formazione veronelliana.
Ora, mi tocca dire di Franceschetti. Ma l’imbarazzo me lo toglie l’incipit del pezzo uscito ora d’archivio: «Nato nella Tenuta di santa Sofia e cresciuto enologicamente nelle sue cantine – scrive Masnaghetti -, Nino Franceschetti ha trascorso la sua maturità enologica nelle cantine Masi». Di fatto, è uno degli «inventori» del «nuovo» Valpolicella di Ripasso e, soprattutto, dell’Amarone, quello moderno. Il primo, forse, a dare vera commercializzazione a questo vino che oggi è trendy e ieri era un’anomalia enoica: era la fine degli anni Cinquanta. Ed ha lasciato, Franceschetti, segno ovunque, in terra di Valpolicella. Un caposcuola, insomma. Riconosciuto. Profeta in patria: vivaddìo, questa sì che è una medaglia al valore.
Che diceva, dunque, il Nino, dieci anni fa? Diceva di Ripasso e di Amarone. Con lucidità e chiarezza. Fuor di leggenda, di falso mito, di balla, come oggi se ne leggono, ahinoi, tante, sulla presunta storia rossista di Valpolicella. Ne faccio un estratto, della saggezza di Franceschetti, una sorta di zibaldone.
Argomento uno: i vini «storici» della Valpolicella. «Fino a circa 40 anni fa – diceva nel ’96 il Nino a Masnaghetti -, esistevano quattro categorie merceologiche fondamentali il cui uso era diffuso soprattutto tra le gente comune. Ed erano: il “vino dolce”, ovvero il Recioto, il “mezzo Recioto”, che era un vino meno dolce del Recioto, il “vino con vena” (meno dolce del mezzo Recioto) e infine il “vino amaro”, cioè il vino secco, senza residuo zuccherino (l’aggettivo “secco” veniva però usato solo nelle famiglie nobiliari). Tra queste categorie c’erano sostanziali differenze di prezzo: «A grandi linee possiamo dire – chiarisce Franceschetti – che se il vino amaro valeva una lira, il vino con vena valeva 3 lire e il Recioto ne valeva 10. Quindi puoi ben capire perché un Recioto diventato secco fosse considerato a quei tempi come una vera e propria disgrazia».
Tema due: il Ripasso storico, ossia la rifermentazione del Valpolicella sulle vinacce del Recioto (oggi s’usano quelle dell’Amarone, e in parte anche le uve appassite). «Il ripasso, così come veniva condotto allora, permetteva – dice Franceschetti – di dare un residuo zuccherino ad un vino che altrimenti sarebbe stato secco». Tutto qui. Era la maniera, insomma, per prendere un vino che valeva commercialmente poco e innalzarlo alla categoria superiore, meglio remunerata perché un po’ più dolce.
Notizia terza: la nascita del Ripasso moderno. «Il ripasso come è inteso oggi – dice il Nino – credo di averlo inventato io per la prima volta verso la fine degli anni ’50. E per un motivo molto semplice. Finita la seconda guerra mondiale, con l’arrivo degli americani, tutti i gusti degli italiani cambiarono, a cominciare dalla predilezione per i vecchi liquori dolci che si usavano fino ad allora. In poco tempo quindi si passò dal gusto dolce al gusto secco e questo fece nascere l’idea di fare fermentare completamente il vino di ripasso in modo da ottenere un vino secco più strutturato e longevo di un Valpolicella normale».
Quarto indizio: la nascita del «vecchio» Amarone. In sede di travaso del Recioto, la parte più torbida del vino, quella che avrebbe rischiato di scatenare la rifermentazione, veniva messa da parte, in damigiana. E abbandonata a se stessa. «Questo vino con il tempo rifermentava – dice -, faceva un deposito duro come il cemento e alla fine diventava brillantissimo e secco. Aveva 16-17° di alcol e una grandissima struttura. Era così potente che ti dovevi attaccare al tavolo per poterlo bere. Da qui è nato il nome Amarone. Un amaro grande». Che veniva abitualmente detto Reciotò scapà, se non addirittura fernèt, come il liquore. Tant’è che lo si beveva a mo’ di digestivo, dopo le abbuffate natalizie o pasquali.
Episodio quinto. Il «nuovo» Amarone. «Era assurdo – sottolinea il Nino – che un grande vino come l’Amarone nascesse da un altro vino, e cioè dal Recioto. Occorreva che avesse un suo stile personale». E questo è successo, migliorando, soprattutto, l’appassimento delle uve, in modo da toglier di torno le muffe.
Sesta e ultima traccia: la tecnica. «Ho paura che si stia abusando della tecnica e si corra il rischio di arrivare ad una massificazione del prodotto». Lo diceva, Franceschetti – lo risottolineo, ribadisco, riannoto – nel ’96. E sosteneva: «Il vino deve piacere e soprattutto avere una personalità, un qualcosa che individua una zona e una mano. Il vino deve avere eleganza, mentre noi fino ad oggi abbiamo cercato di shockare la gente e non di conquistarla». Ullallà: che belle parole! Attuali, attualissime.
E poi ci sarebbero tant’altre cose da riprendere da quelle tre paginette. Ma allora si perderebbe il gusto della lettura completa, integrale. Che invece consiglio. Vivamente consiglio. Anche se per trovare Enogea bisogna abbonarsi. Dunque suggerisco: abbonatevi. Scrivete una mail a Masnaghetti. L’indirizzo è questo qui: almasnag@tin.it. Oppure mandategli un fax: 0546 40275. Se proprio non vi va di scrivere, telefonategli: 333 4310998. Ma fatelo, ché ne vale la pena. Fidatevi.

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