sabato 29 aprile 2006

L’olio di Osvualdo e le magie della Val di Mezzane

Angelo Peretti
Vabbé, non è questo che cambi i destini del mondo e le sorti dell’umanità. Però el siór Osvualdo (già, scritto proprio così, con la u) ha segnato una tappa in qualche misura storica per il mondo dell’olio nel Veneto. Perché un suo olio ha ottenuto quest’anno le tre olive, il massimo dei riconoscimenti, dalla «Guida agli extravergini» di Slow Food. Prima volta che succede al nord Italia, fatta eccezione per la Liguria, che però, climaticamente parlando, tanto settentrionale come regione non la si può considerare. E, attenti: se qualcuno sei anni fa, quando la guida ha cominciato a muovere i suoi primi passi, avesse detto – ci avesse detto, visto che la faccio anch’io - che un olio veneto poteva essere da tre olive, be’, in pochi ci avrebbero creduto. Per questioni di clima, di storia, di cultura. Invece il Veneto ha letteralmente bruciato le tappe. Ed è soprattutto l’est della provincia veronese ad aver tirato fuori le cose più clamorose. La Val di Mezzane, in particolare, s’è imposta come terroir ad altissima vocazionalità olearia. Per una serie di motivi, che più avanti cercherò di accennare.

Intanto, parliamo ancora un attimo di lui, il mastro oleario, Osvualdo Del Fabbro. Che ha olivi, guarda caso, proprio a Mezzane. Il nome di battesimo, strano davvero, mica gliel’hanno dato i suoi. S’è trattato d’un errore di scrittura d’un ufficiale d’anagrafe d’un paesino della Carnia. Invece di Osvaldo, ha scritto Osvualdo, e la frittata era fatta. E penso quant’avrà tribolato fin qui in vita sua a compilar contratti e scartoffie, con quel nome che ogni volta ti costringe a spiegare che è Osvualdo con la u, e che è stato un ufficiale d’anagrafe eccetera eccetera. Bene, dopo una carriera in una ditta di serramenti scandinava, questo signore, quand’è arrivata l’ora della pensione, ha deciso di coronare un sogno: comprarsi un pezzo di terra per coltivarci gli olivi. E così ha messo su casa in Val di Mezzane e ci ha piantato olivi fitti fitti. Quasi fin troppo fitti. Deciso a coltivarli secondo i canoni dell’agricoltura biologica. Poi, s’è anche comprato un piccolo frantoio, per farsi davvero l’olio da sé. E ha scelto un marchio aziendale per le sue poche bottiglie: in etichetta c’è scritto Bio Azzurra. Efficienza e organizzazione.

Il suo olio l’avevo provato un paio d’anni fa su insistenza d’un amico. M’era piaciuto. Soprattutto, ci avevo trovato tante, tante potenzialità di crescita. M’aspettavo dunque grandi cose. Che sono effettivamente arrivate con la raccolta del 2005. Che, attenti, non è stata grande stagione, con tutta quella pioggia. Ma, tant’è, chi ha lavorato bene ed ha avuto rispetto della pianta e dei frutti, be’, ha fatto un bell’olio.

Del Fabbro, in fatto di rispetto delle olive, è uno che dà i numeri a tanti. Perché sta attentissimo ai tempi di raccolta e di frangitura. Ed è questo il vero segreto del suo olio. O meglio, dei suoi oli. Perché ne fa due: uno è un monocultivar della varietà locale del grignano, ed è questo l’olio che ha vinto le tre olive, e l’altro viene da tutte le altre cultivar dell’oliveto. Entrambi buonissimi, il primo con quell quid in più che lo fa unico. Ambedue ottenuti col metodo della denocciolatura. Che consiste nel frangere la sola polpa dell’oliva, scartando il nocciolo. Il che vuol dire far quasi un distillato d’oliva. Con rese in olio per quintale d’oliva evidentemente bassissime.

Ad aver quasi dell’incredibile è poi il fatto che il super olio di Bio Azzurra è ottenuto dal grignano. Che qualche testo d’olivicoltura considera tuttora varietà di scarso valore. E che qualcuno in zona pensava fosse il caso addirittura d’eliminare. Figlio d’una cultivar minore, insomma, quest’extravergine triolivato da Slow Food. Invece, olio grandissimo, così come s’è mostrata grandissima la varietà del grignano, che semmai era incompresa. Ci voleva chi ci si dedicasse con passione priva di preconcetto.

Il problema del grignano è abbastanza semplice: è un olivo che resiste bene al freddo, dà tanto frutto, ma offre una bassa resa in olio. E quando la resa era tutto e si guardava solo alla quantità, be’, questa era considerata una disgrazia. In più, è un’oliva bastarda. Nel senso che fai fatica a capire quand’è il momento di raccogliere. Spiego meglio. Per far grande olio, bisogna che le olive siano raccolte nel momento dell’invaiatura superficiale. Quando cioè cominciano appena a cambiar colore. E in genere questo cambio di livrea dell’oliva dura per qualche giorno, il che ti dà modo d’organizzarti e d’agire. Nel grignano invece no, il passaggio dal verde al nero è rapido, repentino. Ed è un’altra bella rogna. In cambio, però, il grignano appena invaiato, be’, ti dà degli oli che sono unici per carattere aromatico. Perché s’esprimono in una fresca, affascinante, intrigante, elegantissima sensazione d’agrumi. Di limone, di cedro. O meglio, di foglia e di scorza d’agrume. Uno splendore. Intenso, lungo, persistente. Questo ha capito Osvualdo Del Fabbro, e come lui altri lo stanno capendo a nordest di Verona. Il che è bella, bellissima evidenza.

Dicevo, bravo Del Fabbro a fare un olio così col grignano, ma del tutto vocata anche la Val di Mezzane, che non cessa di stupire. Ché già dà vini strepitosi: quanti tre bicchieri! A Mezzane ci sono Corte Sant’Alda, Roccolo Grassi, Tenuta Sant’Antonio, giusto per dire, e chi ama il vino – e l’Amarone in particolare - sa cosa intendo facendo nomi del genere. E se volete farvi fascinare da un frutto, provate la ciliegia o l’albicocca maturata lì: un concentrato d’aromi. Insomma, è un posto che tu pianti un albero e ne tiri fuori qualcosa di speciale. Per via d’una complessità di terre e d’un microclima che han pochi paragoni nel Veronese e direi in tante parti del nord.

Eppoi c’è un altro fattore. Che è umano. La questione è che lì, nell’est scaligero, l’olivo è sì di casa da anni ed anni, da secoli, ma i nuovi produttori del posto non portano con sé i fardelli pesantissimi della tradizione, ancora tanto in auge altrove. Non subiscono condizionamenti, intendo, d’ataviche, arcaiche pratiche. Agiscono con maggior libertà. E tirano fuori delle piccole meraviglie. Perché il caso di Bio Azzurra non è isolato in Val di Mezzane. Ci sono altri piccoli produttori d’olio che fanno bottiglie di valore. Stefano Pizzighella, per esempio, col marchio Sisure. Oppure Mirko Sella, che imbottiglia come San Cassiano. Tutt’e due fanno grande olio, credetemi. E il Mirko sta coinvolgendo altri giovani del posto, che quest’anno sono usciti col loro bel monocultivar di grignano. E quando dico bel monocultivar, intendo olio di notevole finezza e piacevolezza.

Insomma, per far sintesi: c’è un nuovo Eldorado dell’olio, ad est della città di Giulietta. Piccole produzioni, ma d’alto valore. La rivoluzione, è tutta nel nome del grignano. Modernamente interpretato.

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