Angelo Peretti
Lasciatemelo dire: non son mica periodi di vacche grasse, questi qui, per i vignaioli della sponda veronese del lago di Garda. Il Bardolino si dibatte in una crisi d’identità: si salva (e salva i conti economici) il Chiaretto, ché è periodo di tendenza rosata. Il Custoza tira di più, sull’onda del ritorno d’interesse per i bianchi, ma i prezzi non sono certo alle stelle e anche qui magari c’è da colmare qualche gap di comunicazione. Non è che manchino, sia dal lato bardolinista che da quello del Custoza, produttori che facciano le cose per bene, ed anzi ci sono vini che io reputo di gran bell’espressione, ma c’è strada - tanta - che va recuperata per darne una miglior percezione. Ora, che nell’entroterra gardesano nasca proprio adesso una nuova cantina votata al credo del Custoza e del Bardolino è già di per sé una (buona) notizia. Da salutare con un qualche entusiasmo, ché potrebbe essere l’avvisaglia d’una svolta: i nuovi investimenti aiutano tutti, credetemi. E lo è di più se si considera che questi nuovi entrati hanno deciso di prendere il toro per le corna, puntando a vini che abbiano personalità ben definita.
Confesso che di Massimo Ronca e della sua decisione di far vino a Sommacampagna non avevo mai sentito parlare prima. Prima del giorno, intendo, in cui nella casella di posta elettronica mi sono trovato l’invito all’inaugurazione della sua cantina. Un pdf d’impostazione elegante, è in zona non ne girano mica tanti del genere. E son rimasto sorpreso a vedere le foto delle bottiglie: tre bianchi e un rosso tutti in borgognotta, ed è un’altra anomalia in un’area in cui spopola la bordolese. E per di più con etichette dalla grafica minimalista-moderna, che non passa inosservata. Etichette e packaging affidati ad un art director, Marco Campedelli.
Lo confesso: la prima intenzione è stata di lasciar perdere. Mi son chiesto se fosse davvero possibile che qualcuno si mettesse a metter soldi sul far vino in questa zona. E ho fatto spallucce. Mai aver preconcetti, ed io l’ho avuto: pensavo a un qualche parvenu che volesse fare il vignaiolo così, per moda. Poi la foto di quelle bocce atipiche ha continuato - per fortuna - a stuzzicarmi. E, insomma, all’inaugurazione non ci sono andato, ché non mi piace molto transitare per gli eventi mondani. Ma ho fissato un appuntamento e mi son fatto vivo qualche giorno dopo in via Val di Sona, che è poi una stradella che imboccate sul percorso che dall’uscita autostradale di Sommacampagna porta verso Bussolengo, poco prima del ponte della ferrovia: proseguite fino a uno stabilimento di ceramiche e proprio lì di fronte si entra fra i vigneti. O meglio, si entra fra i primi ettari di kiwi (e quelli continuano a rendere abbastanza), ché le vigne sono un po’ più sopra, sulla collinetta: una ventina d’ettari, dai quali si traeva uva da conferire alla cantina sociale. E già questo per me è stato una specie di schiaffone, ché ho trovato smentita all’idea che si trattasse di neofiti: i Ronca fanno uva dal ’76, mica da ieri. Settanta per cento per il Custoza, il resto per il Bardolino. Poi, col 2006, la decisione di mettersi in proprio. E di chiamare a interpretare vigna e terroir Enrico Paternoster & Gianni Gasperi & Roberto Lechthaler, tutta gente che sa il fatto suo e che ha bell’esperienza. Chapeau.
Fra vigna e cantina, ho potuto conversare dunque con questo Massimo Ronca, che è produttore giovane e m’è parso che veramente abbia l’intenzione di far parlar di sé per le sue scelte. N’ha già fatte di coerenti anche nell’impostazione degl’impianti di produzione: acciaio piccolo, in modo da tener separata ogni singola pigiatura, ogni porzione di vigneto (non c’è per ora botte alcuna di legno), per poi far cuvée. Ed anche alla vigna s’è data nuova impronta, con un restyling delle vecchie cose e la posa di nuovi filari. Chiaro che occorrerà il tempo di vederne appieno i frutti. Ed altrettanto chiaro che, intanto, s’imbottiglia solo piccola parte, e il resto va via in cisterna: mica è possibile che uno dall’oggi al domani trovi la forza di vendere un centinaio di migliaia di bottiglie e più. Ma quel poco, ed è solo la prima annata, l’ho reputato interessante parecchio, e dunque eccomi qui a darne conto.
Dico dunque che m’è parso che i vini della prima annata, quella del 2006 - son quattro le etichette -, siano tutti ben fatti. E che mi sembrano anzi destinati a dare ancora miglior impressione un po’ più avanti coll’affinamento nel vetro. Credo che riprovandoli nell’autunno li si potrà trovar cresciuti, e spero d’aver occasione di farne di nuovo la prova. E comunque sono vini che hanno carattere e non vogliono seguire mode piacione: secchi, secchissimi, mica i morbidoni che troppe volte ti trovi d’attorno. Bene. E dico tra me che ci vuole coraggio e determinazione (e forse anche un po’ d’incoscienza) a mettersi in una simile avventura, ma insomma, il punto di partenza è di già bello alto. E se il buon giorno si vede dal mattino, m’aspetto belle cose dalle vendemmie che verranno, quando le vigne risistemate e quelle di nuova piantagione daranno frutto ancora più netto. E dunque incoraggio l’intrapresa.
Ordunque, i quattro vini di questa neonata aziend’agricola Ronca.
Custoza Tèra 2006 Il nome è in dialetto: terra, vuol dire. Che è quasi una dichiarazione d’intenti. Le uve son garganega e tocai (qui detto trebbianello) in quasi ugual misura. E dico che è bianco fra i più intriganti all’olfatto che mi sia capitato d’annusare negli ultimi anni in zona gardesana. Memorie balsamiche di pino mugo s’espandono a onde dal bicchiere. E sotto frutto bianco (e pera). E fiore bianco secco. Buona pure la bocca, che ha bella progressione: dapprima il frutto, tanto, di poi la freschezza salina, e il finale è asciutto. Ha buona polpa. Magari vorrei maggior lunghezza, ma diamo tempo al tempo. Intanto, mi godo le fragranze.
Costa in cantina a privati 4,70 euro per una bottiglia (27 la cassa da 6).
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Garganega Camì 2006 Camì sta per Camilla, la figlia del patron. La garganega è l’uva per eccellenza del luogo. Al naso tanto fiore bianco: camomilla. E accenni verdi, di clorofilla. E frutto bianco. Bel bouquet, davvero. Bocca tesa. Materica. Finale secco, da bianco di razza. C’è una vena un po’ amara che preferirei non trovare, ma credo che col passare dei mesi tenderà a scomparire.
Costa 4,50 euro (25,80 in cassa).
Due lieti faccini :-) :-)
Bianco Meuì 2006 Francesismo storpiato nel nome: ma sì... Gran parte tocai, l’uva, e poi un filo di pinot bianco. E medesime note balsamiche del Custoza. E begli accenni di florealità. E frutto: la pesca nettarina, bianca, quando ancora è croccante, non del tutto matura. In bocca grande sapidità & salinità. E lunghezza. E possanza. Magari quel filino d’amaro in più, ma anche qui c’è da lasciar tempo.
Costa 5,50 euro (31,80 in cassa)
Due lieti faccini :-) :-)
Bardolino Erre 2006 Erre sta per Ronca. O per rosso, fate voi. Ed è Bardolino che non bada ai formalismi: frutto maturo e tannino. Corvina all’ottanta per cento. Il resto è rondinella e perfino la quasi abbandonata altrove molinara, che nella vigna c’è e allora perché non adoperarla? Naso da chiodo di garofano, da cannella in stecca, da buccia d’arancia caramellata. E fragolona matura. In bocca c’è tensione, e frutto, e vena vagamente erbacea, e spezia. Bardolino da bere subito e, penso, ancora più interessante se si ha pazienza d’aspettarlo.
Costa 4,80 euro (27,60 in cassa).
Per ora, un faccino e quasi due :-).
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