Angelo Peretti
Il rischio è la sindrome da figlio d’un dio minore. Da ramo povero della famiglia. E invece no. Invece quei basalti e quella garganega sono altra cosa.
Sono stato di recente un paio di volte a Gambellara, terra vicentina appiccicata al confine veronese. Prima sosta per una degustazione dei bianchi locali insieme con un gruppo di produttori, ospite del consorzio di tutela della doc del posto. Seconda per visitare la cantina sociale, ché un paio di loro cose m’avevano incuriosito. E m’incuriosiva soprattutto cercar di comprendere se il mondo della cooperazione fosse in qualche modo sulla lunghezza d’onda dei piccolini, che m’erano sembrati convinti. Devo dire che ho trovato favorevole responso, anche se di strada, chiaro, ce n’è ancora da fare. E insomma mi son reso conto che lì, a un tiro di schioppo da quella capitale bianchista che è Soave, c’è, come dicevo, altra garganega che cresce sul basalto e che può dar buone bottiglie e che la via per arrivarci è stata imboccata. Avanti, allora. Bisogna crederci. Ci devono credere i vigneron. Senza soffrir sudditanze para-soavesi. Senza cercare improbabili imitazioni. Costruendo un percorso autonomo. Che guardi al terroir.
Quella di Gambellara è realtà semisconosciuta. Il paese è piccoletto, e non vi ho trovato grande attrattiva sotto il profilo dell’architettura, del paesaggio urbano (un centro come tanti altri della campagna veneta), mentre è bella parecchio, e verde, e quasi a tratti selvaggia, e ricca di vigna, la collina. C’è sasso nero, proprio basalto, su quei colli. Suolo di vulcano, che deve trasparire nel vino. E peccato che il basalto l’abbiano cavato un po’ selvaggiamente negli anni della fame, quando si doveva crear lavoro a tutt’i costi. Col costo, per esempio, d’abbattere una chiesuola antica per far largo alla cava. E dove non è basalto è tufo poroso e rossastro, che lì chiamano togo. E anche questa è terra pregevole da vigna e da vino.
Dentro all’abitato, a Gambellara, l’edificio più bello è forse la palazzina antica che ospita il consorzio di tutela. Proprio di fronte ha sede una delle più grosse aziende italiche del vino, la Zonin, che qualcosa col nome della doc locale imbottiglia, ma ormai come quota residuale, ché le attenzioni sono ben al di fuori dal territorio vicentino, con gli investimenti - importanti - che ha fatto in quasi tutt’Italia.
Ora l’uva, che come ho detto è garganega (o forse garganego, al maschile, come qualcuno dice da queste parti), che è vocatissima per le terre figlie dei vulcani. Quanto alla doc, la denominazione d’origine prende dentro, insieme a Gambellara, altri tre comuni, che sono Montebello Vicentino, Montorso Vicentino e Zermeghedo, nome che sembra uno scioglilingua. Poco più d’un migliaio d’ettari in tutto. Ci si fanno, dentro alla doc, più vini. Il Gambellara, appunto, bianco, il Gambellara Classico, riservato alle vigne di collina, e poi il Recioto, dolce, da uve di garganega passite, e ancora il Recioto Spumante e infine quella stranezza che è il Vin Santo, sulla cui esistenza debbo far atto di fede, giacché nessuno, proprio nessuno me n’ha fatto assaggiare nelle due visite in loco.
Ora, so che stanno cercando d’approvare la denominazione garantita per il Recioto e, mi par di capire, per il Classico. E un po’ mi tremano i polsi, visti i sostanziali insuccessi dell’altre garantite ottenute negli anni più recenti in terra veneta: il Superiore del Soave e del Bardolino non sono mai decollati, e stenta il Recioto di Soave. Val proprio la pena? E, soprattutto, vale la pena far modifiche al disciplinare imponendo per la docg l’allevamento a filare in una zona da sempre orientata alla pergoletta? Non è che si stravolge, così, il vino, e si mira più a far vino di vitigno che non di terroir? Meglio meditarci un pochetto, temo. E invito.
Devo dire anche del mondo produttivo. Un’impressione: che ci sia – ci possa essere – quel giusto mix fra mondo consortile e iniziativa privata che ha segnato il successo d’altre terre del vino. L’importante è che si trovi sintonia fra le due componenti. E che si punti alla qualità.
Del resto, qualche vignaiolo del luogo è già da qualche anno sugli annuari del vino d’eccellenza: penso ai Dal Maso, a Cavazza. E poi c’è la cantina sociale, che secondo il vezzo corrente s’è tolta il sociale dal nome e dunque si chiama adesso Cantina di Gambellara. E la visita è stata d’interesse, ché è vero che fanno ancora tanto sfuso e tanti bottiglioni-tappo-a-vite (del resto dei quasi quattrocento conferenti ce n’è parecchi in pianura, e più di tanto da quelle vigne è oggettivamente difficile cavarci), ma c’è ottima mano d’enologo e idee chiare nel management. Vivaddìo, secondo me ce la faranno.
Altra meditazione che affido ai vigneron del Gambellara. Stanno spingendo, orgogliosamente, sul Recioto e sul Vin Santo. Per differenziarsi e quindi emergere. Lo facciano, per carità, lo facciano. Ma attenzione: non s’accreditino come produttori di vini centrati sulla dolcezza. Non commettano quest’errore di comunicazione. Ché il loro patrimonio è invece la garganega sul basalto, e quindi il bianco secco e minerale e di carattere. Non si distraggano dall’obiettivo vero. Per favore.
Ora, qualche vino. Ché è giusto dar l’idea, almeno brevemente. Mettendo insieme il meglio delle cose provate nelle due visite che ho detto. Col doppio punteggio, in centesimi e in faccini di piacevolezza.
Gambellara Classico Cà Fischele 2006 Dal Maso Bel bianco, signori miei, bel bianco. I Dal Maso li conosco da tempo. E li apprezzo. Qui c’è polpa e sostanza epperò anche freschezza e pulizia e lunghezza e vena minerale ora appena accennata, ma di già avvincente.
86/100
Tre faccini felici :-) :-) :-)
Gambellara Classico 2006 Virgilio Vignato Se non ho capito male, quest’è vino sperimentale, che quando l’ho assaggiato era ancora in vasca, e che mi piacerebbe aver dunque occasione di riprovare. Rustico, selvatico, eppure denso di frutto, nervoso, minerale.
83/100 sulla fiducia
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Gambellara Classico Paiele 2006 Giovanni Menti Ci scommetto su quest’aziendina. Ci scommetto perché ci trovo personalità, nel Paiele, e son convinto che tiene benone alla distanza e che se n’esce da quel suo carattere introverso e si farà ancora più minerale e interessante.
80/100
Due lieti faccini :-) :-)
Gambellara Classico Togo 2006 Cantina di Gambellara Tanto di cappello alla cantina sociale, se tira fuori ‘ste bottiglie dai vigneti di collina. Ragazzi, si beve che è un piacere, e ha frutto e lunghezza. Magari ci vorrei un pelo di freschezza in più, ma è bel vino, sicuro.
80/100
Due faccini contenti :-) :-)
Gambellara Classico Prime Brume 2006 Cantina di Gambellara Me l’han contestato i giovani del luogo, e me lo ricontesteranno. E io dico di riapprezzarlo, ché non è facile far numeri con questa pulizia. Mira all’immediatezza, spinge sull’aroma, ma santo cielo è gradevole!
76/100
Due faccini, rapportati alla tipologia :-) :-)
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