sabato 27 agosto 2005

Fate largo al nuovo Groppello

Angelo Peretti
Che dire del Groppello? Quasi sconosciuto fuori dai luoghi d’origine, questo rosso appartiene totalmente al panorama d’esperienza della riva occidentale del Garda, quella lombarda, bresciana. Con lo spiedo, forma un sodalizio che è culturale prima ancora che gastronomico. Perché l’uno e l’altro, il vino e il cibo, hanno in sé un’impronta di rusticità e di selvaticità inusuali quasi per l’area. Probabilmente ultimo retaggio barbarico, dei tempi in cui la caccia era prima di tutto ostentazione di potere.
Ecco, è forse il sapere un po’ sempre di selvatico una delle prerogative vincenti del Groppello in questi anni che seguono la moda dei rossi morbidi e concentrati, quasi dolci. Perché è vero che questo rosso rivierasco sa di piccolo frutto, di fragola in particolare, ma non perde mai comunque la sua vena di vegetalità, quasi di pampino spezzato, e di mineralità, che è data dai terreni, depositati e poi rimestati dai ghiacciai in cerchi concentrici di morene, o dai depositi alluvionali lasciati dai torrenti che tagliano verticalmente l’anfiteatro naturale della Valtenesi.
Il variare dei suoli e dell’altimetria, e quindi del microclima, inducono diversità nel vino, quasi impercettibili al profano, eppure tipicizzanti, che meriterebbero d’essere davvero esaltate dal lavoro in vigna e in cantina.
Ora, quali provare di Groppelli per capirne le potenzialità? Darò tre consigli. Vini che hanno spiccata personalità. E ambizione.
Il primo è il rosso di punta del bastian contrario della riva lombarda del lago (pensare che è ancora fedele alla vecchia doc Riviera del Garda Bresciano: mai passato alla nuova denominazione del Garda Classico). Il Groppello in questione è il Sulèr 2001 di Gianfranco Comincioli, sindaco, tra l’altro, della sua Puegnago. Sulle orme di papà Battista, che la tecnica l’aveva appresa in Valpolicella subito dopo la guerra, Gianfranco raccoglie tardivamente l’uva di groppello e poi la fa appassire per amplificarne la concentrazione. Ne nasce un vino riottoso a concedersi nel bicchiere: serve dargli ossigeno, tanto, perché si apra. Ma è vino longevo, che ha bisogno di anni per dare il meglio di sé: il 2001, oggi, è un fanciullino. Discusso. Ma caposcuola.
Il secondo Groppello, ancora del 2001, è la Riserva (la doc è quella del Garda Classico) del Vigneto Arzane, dei Pasini di Puegnago. Vino d’eleganza considerevole, ormai pronto da bere. Fragola e velluto: bella interpretazione. Più lo bevo, e più mi piace. L’ho potuto provare varie volte nel corso dell’ultimo anno: crescita costante con l’affinamento. L'armonia del Groppello.
L’altro, il terzo, è un 2003, il Maìm (un Garda Classico Groppello) di Imer e Mattia Vezzola: Costaripa, si chiama l’azienda. Mattia è uomo dello spumante (è enologo e general manager della Bellavista, in Franciacorta). Imer ama il groppello, il vitigno. Qualche giorno fa, incontrandolo, gli ho chiesto come andasse la stagione. «Il groppello è sano» mi ha risposto, immediatamente. Trascurando tutto il resto. Ebbene, il Maìm 2003 è buonissimo. Per nulla succube della calura di quell’annata, che diede uve surmature e vini di nessuna freschezza. Questo è succoso. Ne bevi un bicchiere e te ne vuoi subito versare un altro. La beva appagante.