mercoledì 29 novembre 2006

Quel colosso che ha sede a Soave si muove fra marchio e denominazione

Angelo Peretti
Impressive, dicono gl’inglesi. «Parla come mangi» mi si può obiettare, e dunque dovrei scrivere, all’italiana, «impressionante». Ma non è la stessa cosa. Se affermo, in italiano, che una tal cosa mi fa impressione, posso voler significare che mi fa ribrezzo. Insomma, impressionante ha spesso, qui da noi, un’accezione negativa. Diverso è dire che la tal cosa è «impressive», ché allora intendo metterne in luce l’imponenza. E infatti «impressionante, imponente, commovente, solenne» argomenta il mio dizionario d’inglese per l’aggettivo «impressive».
Ora, impressive è proprio quanto m’è venuto in testa sfogliando il bilancio della Cantina sociale di Soave, quello chiuso a giugno 2005 (il bilancio qui lo fanno da un giugno all’altro). Che dite? Che esagero? Sentite qua: 63 milioni di euro di fatturato contro i 58 dell’anno prima, 26 milioni liquidati ai millecinquecento soci che hanno conferito uve (26 milioni, capito? vuol dire qualcosa come 48 euro di media al quintale), 757 mila euro di utile (ed è una cooperativa, che per statuto non punta all’utile), cash flow di quasi 5 milioni (tutta liquidità da usare per gli investimenti), un patrimonio di 27 milioni di euro. Chiamatele noccioline…
Capisco la soddisfazione del presidente, il commendator Luigi Pasetto: «La sostanza, la credibilità di un’azienda come la nostra sta nelle somme liquidate ai soci. È un risultato che proviene da un’organizzazione aziendale che ha poco da invidiare ad altre realtà cooperative» dice, e bando alla falsa modestia. «Si tratta di un bilancio – gli fa eco, senza peli sulla lingua, il direttore generale Bruno Trentini – in controtendenza rispetto ad una situazione di grave difficoltà per il settore, a causa dell’incapacità dei produttori di affermare i propri marchi. Tale fragilità si traduce in una debolezza commerciale che gioca a favore della grande distribuzione, la quale progressivamente porta ad una riduzione dei prezzi d’acquisto; così la forbice tra costo del vino e costo della bottiglia finita si riduce sempre di più, con grave sofferenza delle aziende. In questo difficile contesto, la nostra azienda si è mossa cercando innanzitutto di puntare sulla valorizzazione dei nostri marchi, per i quali abbiamo ottenuto risultati significativi». Miseria se è parlar chiaro.
Adesso, un paio di sottolineature.
La prima: avete fatto caso? Pasetto e Trentini, presidente e dg, nelle loro dichiarazioni usano la stessa parola: azienda. Già, sarà anche una cooperativa, ma qui l’impostazione è tutta imprenditoriale.
La seconda: Trentini dice che la priorità è la valorizzazione dei marchi. E qui si apre il dibattito. Il quesito è questo: un produttore del calibro della Cantina sociale di Soave deve valorizzare il marchio o la denominazione d’origine? Insomma: prima l’azienda o prima il territorio?
Facciamo un passo indietro. La scelta strategica della Cantina soavese di puntare su marchi specializzati è stata indovinata, visto che i fatturati son cresciuti in tutti i settori: 20 per cento in più, nel complesso. Se volete, ve li riassumo anche, i brand. C’è il Cadis per la grande distribuzione: è quello più rilevante come quantità. Accanto, ecco il marchio Le Poesie, rivolto al settore ho.re.ca. (vuol dire: hotel, restaurants & catering, se non sbaglio), ma commercializzato dalla medesima rete di vendita del Cadis. Poi, due marchi gestiti da una rete specializzata per la ristorazione: Rocca Sveva e Maximilian, quest’ultimo riservato allo spumante. E altri marchi «minori» a completare la gamma. La diversificazione di etichette e di reti di vendita è risultata un’arma vincente. «Attraverso i marchi siamo riusciti a valorizzare i nostri prodotti ed a gestire i mercati» sostiene Pasetto. Ma il marchio è un’arma di tipo prettamente aziendale. E la doc?
Sulla doc, Trentini ha le idee chiare. Potrei tentare di riassumerle così, se ho ben capito: la doc è una valore, e va sostenuta, ma tutti devono fare la loro parte, altrimenti meglio pensare al marchio. E spiego. «Le doc - fa il direttore - sono delle opportunità, ma anche una possibile palla al piede. È necessaria una politica unitaria. I Consorzi non devono fare solo controlli, ma anche comunicazione e promozione. Occorre promuovere la denominazione nel mondo, attuando una politica strategica comune fra tutti gli operatori. Occorre fare sistema, come accade nell’ambito del Soave, altrimenti prestiamo il fianco a chi fa solo politica di marca». E che la Cantina soavese abbia usato la marca come grimaldello per aprire i mercati, ma che nel contempo pensi anche alle doc, vien fuori da un’altra affermazione di Trentini: «Non è esclusa la nostra progressiva uscita dal settore delle private label, i vini ad etichetta personalizzata per le catene commerciali. È un settore marginalizzato sia in termini di redditività, sia in termini di valorizzazione delle denominazioni. Se la denominazione è molto presente nelle catene dei discount, finisce per essere deprezzata». Insomma: se si vuol investire sulla doc, lo si faccia, ma tutti insieme, inestendo in promozione. «Punteremo sempre al binomio marca-denominazione – aggiunge il direttore – ma quale sarà la visibilità che daremo alla denominazione rispetto alla marca dipende da quanto risalto verrà dato alla denominazione da parte degli altri attori della filiera».
Come dite? Che vi sembra un ricatto? Nossignori: è sano, sanissimo realismo. Ché il vino mica lo si fa per diletto: è un prodotto, e come tale deve stare sul mercato. Anche il vigneron più poetico e garagista le sue bottiglie le vuol poi vendere, mica regalarle ai fan. Ergo: tutti sulla stessa barca. A remare nelle stessa direzione. Ergo, c’è da capirlo Trentini quando sostiene: «Siamo contenti, ma non euforici». Perché - parole sue - «la prospettiva del settore non è rosea». Aggiunge: «La competizione in atto è pesante e se la produzione non si pone di fronte a questa competizione in modo organizzato può prestare il fianco alle speculazioni».
Ora, a parte il realismo, c’è da chiedersi: è questa la via unica? O marchio o doc? E ci potremmo dividere fra il partito del sì, quello del no e quello del forse. Dico solo (ripeto, anzi): questo qui che fanno a Soave è parlar chiaro, è avere una strategia. E con chi parla chiaro e ha strategie - condivisibili o meno che appaiano - ci si può (ci si deve) confrontare. Il problema è quando le idee non ci sono, o al massimo son nebulose o evanescenti, e purtroppo è l’impressione che si ha in tanti territori enoici. Questi invece - insisto - hanno idee e fanno anche risultati. E hanno quattrini, tanti, e se vogliono possono averne anche di più.
Dicevo: 5 milioni di cash flow, fatturati record, pagamenti pesanti ai soci. E un indebitamento bancario che è pari soltanto a un quarto del patrimonio, con la chance, dunque, d’attingere ancora a tanto credito. Insomma: se vogliono, questi sono pronti a fare shopping. Già si son presi la Cantina sociale d’Illasi, arrivando a metter le mani, oltre che sulla maggioranza del Soave, anche su una fetta enorme di produzione di Valpolicella. Più avanti che cosa faranno? Mica possono star lì con le mani in mano, è chiaro. «Abbiamo sempre valutato positivamente le aggregazione nel mondo cooperativo» butta lì, sornione, da politico navigato qual è, il commendator Pasetto. Antenne lunghe, signori, ché questi li san fare gli affari.
Poi, sanno anche leggere il mondo che gli gira intorno. Prendete la relazione di bilancio. In apertura si fa l’esame della vendemmia 2005, che fu scarsa un po’ ovunque a livello nazionale, ma questa scarsità «non ha condizionato, come di solito accadeva, in modo diretto i prezzi dei vini, anzi, nel corso dell’anno i prezzi sono scesi ulteriormente» (sto citando le prime righe). E qui gli amministratori s’interrogano, e redigono una pagina di buona analisi: «Cosa significa – scrivono – questo fenomeno? Significa che la legge della domanda e dell’offerta a livello internazionale non è più condizionata dal variare dell’offerta nazionale e ancor meno dal variare dell’offerta di una singola denominazione. La grande disponibilità a livello mondiale è ormai tale che i nostri prodotti o sono in equilibrio di valori (prezzo, qualità, immagine) o sono fuori mercato». Dunque, c’è da confrontarsi coi prezzi che tendono a scendere. «Questa serie di ribassi nei vini – sta scritto sul bilancio – sta mettendo in discussione la sopravvivenza di tanta viticoltura in aree dove, indipendentemente dalla qualità delle uve dei vini prodotti, la mancanza di capacità commerciale e di organizzazione del territorio sta portando le remunerazioni sotto ai costi di produzione. Ciò deve preoccupare tutto il settore». Sissignori.
Dunque: idee, strategie, capacità di analisi. Già. Ma sanno anche fare il vino, ‘sti signori di Soave? Intendo: hanno vini interessanti, oppure puntano solo alle quantità e ai prezzi?
Per rendermene conto sono tornato in Cantina a fare un wine tasting, scegliendo a caso le bottiglie fra le varie linee. Anche i vini da supermercato, yes. Bianchi e spumanti, soprattutto. Ne ho selezionati quattro: due Soave e due bollicine. Leggete - se volete - qui di sotto.
Soave Classico Superiore Castelcerino Rocca Sveva 2005
Niente da obiettare. Anzi. Un bel Soave Superiore. Pulito. Di carattere. Garganega e trebbiano. Fatto in acciaio. Ha naso tra il vegetale e il floreale. Vi s’avvertono in più toni di mela acerba. In bocca sfoggia struttura. Ed ha beva. Succosa. E buona freschezza. Finale abbastanz’asciutto. Allo shop della Cantina sociale, a Soave, costa, sullo scaffale, 5,99 euro.
Due lieti faccini :-) :-)
Soave Classico Villa Rasina 2005
Se il Superiore della linea Rocca Sveva, quella di punta, m’aspettavo di trovarlo buono, questo qui, un vino destinato alla grande distribuzione, è una sorpresa. Per carità, è la linea top fra quelle da supermercato. Epperò il vino è davvero ben fatto. Magari un po’ didattico, un po’ mirato su quella «tipicità» ch’è dettata dal disciplinare, ma chi lo compra non se ne pente. Non è in vendita allo shop a Soave, e dunque non so cosa costi, ma credo poco.
Un lieto faccino e quasi due :-)
Soave Brut Maximilian
Be’, se cercate uno spumantino senza grilli per la testa da stappare per l’aperitivo disimpegnato, compratelo a casse ‘sto brut soavese. Destinato alla gdo, lo si può acquistare in Cantina sociale a nientepopodimeno che 2,53 euro la bottiglia: non scherzo, costa come una birretta di quarta serie. Ha, all’olfatto, memorie floreali, non intense, d’accordo, ma comunque pulite. In bocca è morbido. Ha fruttino e fiore. La carbonica magari è un po’ in rilievo, ma ci può stare. Un’altra sopresa, dopo il Soave detto sopra.
Un lieto faccino e quasi due :-)
Brut Metodo Classico Equipe 5 2002
Ex marchio di culto della spumantistica trentina, adesso l’Equipe 5 lo fanno a Soave con le uve del posto: lo chardonnay della collina di Campiano in primis. E questo 2002 non è niente male, con tutta quella crosta di pane a renderne intrigante il naso e la burrosità che avvolge il palato. Mica male, proprio mica male. Se poi pensate che allo shop della Cantina lo trovate a 6,89 euro…
Due lieti faccini :-) :-)
E qui mi fermo. Un’altra volta, magari, proverò anche i rossi. Bye.

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