Angelo Peretti
L’ho detto e lo ripeto: m’ha inorgoglito. Il fatto che a Sorrento m’assegnino un premio giornalistico, il Sirena d’Oro, per un articolo sugli oli veronesi che ho scritto per L’Arena, be’, mi fa piacere, e molto. Anche se un brivido corre lungo la schiena: vuoi vedere che è la riprova – ennesima – del nemo propheta in patria?
Vabbé, sia come sia, ringrazio. E n’approfitto per dedicare questa mia stanza all’olio. Lo faccio, aggiungo, «a gentile richiesta», come dicevano i musicanti di piazza. Ché son parecchi ad avermi domandato di ripetere le cose che dico nei laboratori che tengo sotto l’insegna della chiocciolina di Slow Food.
Dunque sia: olio, stavolta. O meglio: il gioco dell’olio, ché vorrei parlare d’abbinamento. Di maritar l’olio con le pietanze, con gli alimenti.
Subito ribadisco tre concetti. Primo: quando dico olio, intendo l’extravergine d’oliva. Secondo: l’extravergine ha da essere di grande qualità, fatto con le olive a invaiatura superficiale, quand’appena accennano a cambiar di colore, e frante nell’immediato, poche ore (pochissime) dopo la raccolta, e dunque potente ed elegante insieme. Terzo: l’olio di qualità costa, d’accordo, ma va usato a poche gocce, ché sennò son calorie inutili e spreco, come se il balsamico - l’aceto - lo s’impiegasse a bicchierate.
N’aggiungo un altro, di concetti: quando dico olio, rifiuto la sua definizione di condimento. L’extravergine non è condimento. È piuttosto un esaltatore di sapidità. E come tale - a mio avviso - va adoperato. Per averne il meglio.
Chiarisco. Se prendete in mano il vocabolario, potrete leggere che un condimento è «una sostanza aggiunta alle vivande per renderne più gradevole il sapore». D’accordo: l’extravergine può servire anche a questo. Ma è interpretazione riduttiva. Vorrebbe dire che l’olio serve solo su piatti che di per sé non hanno gran pregio. Pietanze miserelle, che abbisognano di sapore, di brio, di slancio. Sarebbe povera e piccola cosa.
In realtà, l’olio extravergine d’oliva vale molto, molto di più, e non solo dal punto di vista salutare. Intendo che ha maggior valore in cucina. Ché il suo ruolo non è tanto quello d’aggiungere sapore a un alimento, bensì d’esaltarne le caratteristiche gustative intrinseche. Amplificandone di volta in volta l’aromaticità, la fragranza, la succulenza, la dolcezza.
Ricordiamoci che l’olio è un grasso, e fra le caratteristiche de’ grassi c’è quella d’assorbire pressoché istantaneamente gli aromi, i profumi con cui vengono a contatto. Il che può essere un problema – lo capite – se l’olio è conservato male: in presenza d’odori sgradevoli, li fa subito suoi. Però, se bene indirizzata, questa prerogativa può essere un’arma in più a disposizione di chi ami il piacere della tavola. Roba da gourmet.
Adesso il gioco. Nelle righe che seguono ripeto i quattro test che in genere mi piace alternare nei laboratori Slow. Tutti basati su quant’ho appena detto. Ossia sull’immediata esaltazione degli aromi.
Primo: olio e pane. La bruschetta. Ricetta semplice: pane, olio, eventualmente una strofinata d’aglio. Siamo talmente abituati a mangiarla, che non ci accorgiamo neppure più della prodigiosa escalation di sapore che avviene preparandola. Al punto che siamo soliti pensare che serva ad esaltare la bontà dell’olio. È vero esattamente il contrario: amplia il sapore del pane. La prova? Basta assaggiare il pane e l’olio prima da soli e poi uniti insieme. V’accorgerete che ad essere amplificato dall’abbinamento non è il sapore dell’olio, bensì quello del pane. Più buono è il pane, più intensa diventa la sua fragranza mettendoci sopra un po’ d’extravergine. L’olio assorbe all’istante il sapore del pane e lo esalta. Il che fa intuire il trucco di certi frantoiani: se hanno olio di scarso valore, ve lo fanno provar sul pane. E voi finite per comprarlo.
Secondo test: olio e mele. Assaggiate una fettina di mela golden. Poi prendetene un’altra e metteteci sopra un goccio d’olio: il sapore di mela s’amplifica in bocca. L’olio ha fatto suo l’aroma del frutto. Questo dice che qualche goccia d’olio riesce a trasformare una semplice macedonia di mele (ma anche d’arance, banane, ananasso) in un piatto d’appeal. Lo stesso effetto l’avete versando un goccetto dell’olio su un gelato alla mela, su una torta di mele, su uno strudel.
Terza esperienza: l’olio col formaggio. Masticando un formaggio giovane s’avverte un lieve sentore di latte. Mettete sullo stesso formaggio un goccio d’olio: mangiandolo (che la masticazione sia lunga, profonda), non sentirete quasi l’olio. Emergerà invece in tutta ricchezza una sensazione liquida di latte, materia prima del formaggio, esaltata all’istante dall’extravergine. Adesso, provate a metter sul formaggio anche una fogliolina di un’erba officinale (timo, maggiorana, santoreggia) e poi la solita goccia d’olio: niente più latte, niente più olio, bensì una strepitosa fragranza vegetale. L’olio si è unito all’aroma dell’erba e l’ha amplificato. Direte: ovvio, l’erba è prevalente d’aroma. Nient’affatto: provate lo stesso formaggio con l’erbetta ma senz’olio: da un lato del palato avvertirete il cacio, dall’altra l’erbaceo. Distinti.
Quarto: olio e cioccolato. Ogni volta che lo propongo, c’è chi mi guarda storto. E mi prende per matto. Eppure, chi ama il cioccolato, lo dovrebbe qualche volta provar coll’olio. O meglio, con gli oli. Ché se avete del cioccolato amaro dovete sposarlo con un olio carico di polifenoli, e dunque amaro e piccante. Se invece preferite la dolcezza del cioccolato al latte, l’extravergine avrà da esser più delicato. Ebbene, fatta questa distinzione, basta una goccia d’olio per amplificare il sapore del cioccolato, che diventa una bomba aromatica. Se poi volete strafare, prendete una fettina di polenta abbrustolita, caldissima e grattugiateci sopra il cioccolato: in un lampo sarà liquefatto. Adesso è il momento dell’olio: ne useremo un gocciolino appena, sopra il cioccolato divenuto liquido. Sarà un’esplosione di gusto.
Ora, lo so, chi non ci ha mai provato, non mi crederà. E aumenterà il numero, probabilmente, di chi vorrebbe propende per farmi veder dallo strizzacervelli. Dico invece: provate. Alla fin fine, è un gioco. Ma se va come credo – e ci hanno creduto, sin qui, in tanti – avrete finalmente scoperto quale tesoro venga dall’oliveto.
domenica 9 aprile 2006
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