sabato 11 febbraio 2006

Dell’Amarone che sopravvisse alla grandine

Angelo Peretti
S’avventò sulla Langa. Poi spazzò la pianura. Si scagliò sulla Valtenesi, ghermì la sponda d’oriente del Garda, s’abbatté sulla Valpolicella, traversò il Veronese e sfogò la furia sui Colli Berici, andando a morir chissà dove. La grandinata dei primi d’agosto del 2002 - lo rammentano di certo i miei dodici lettori - si lasciò dietro scie di rovina. Ricordo vigne ridotte a scheletri, olivi spogliati all’osso. Macchine devastate, sfondate, squartate. Alla Raffa di Puegnago resta un cartello contorto, battuto, triturato da schegge infinite di ghiaccio.
Impossibile far vino nel 2002 nelle zone dell’uragano. Difficile, difficilissimo anche in quelle dove la tempesta era caduta meno intensa. Tant’è che in Valpolicella molte aziende hanno deciso di non uscire coll’Amarone (ad esempio Tedeschi, Speri, Zenato, tanto per dire di marchi più volte tribicchierati) e qualcheduna ha rinunciato perfino agli altri rossi. Ché mica c’è stata solo la tempesta. «Annata difficile e delicata» la descrive Daniele Accordini, enologo, bravissimo, alla Cantina di Negrar. «Qualcuno ha definito la vendemmia 2002 come la più povera e la più bizzarra degli ultimi cinquant’anni» aggiunge un bravo agronomo come Paolo Fiorini.
Ebbene, quel che resta degli Amaroni dell’annata è stato presentato al palazzo della Gran Guardia di Verona nella rituale anteprima indetta dal Consorzio di tutela. Delle idee che n’ho tratto vorrei dar conto alla dozzina d’amici che mi leggono.
L’impressione a bruciapelo? Che è piccola cosa, il 2002. Ma che pure non s’ha da far di ogn’erba un fascio. Ci non ha avuto grandine e ha lavorato come domineddìo comanda, be’, l’annata l’ha salva. E se pure non n’ha tratto memorabilie enoiche, ugualmente ha in cantina vini che si fan bere. Già: bere. Dato che dal 2002 è inutile aspettarsi grassezza, concentrazione estrema. Ma beva sì, e non è mala cosa di certo.
Chi, per esempio, ha fatto buone cose, chiederà ora qualcuno de’ lettori? Curiosità legittima, che cerco d’andare a soddisfare rileggendo gli appunti, che prendo ancora carta e penna (unica innovazione: il taccuino è Moleskine, pratico per davvero). Coi limiti tutti della soggettività di parere, of course. E d’un giudizio ch’è in ogni caso prematuro, visto che i vini sono in gran parte ancora in vasca (e ci starà, qualcuno, a lungo, prima di prender la via della bottiglia). Sia come sia, io arrischio cinque scelte. Non per forza i migliori, non gli unici, magari, ché altri meriterebbero citazione. Diciamo: quelli che riberrei adesso che son davanti alla tastiera. Il tempo è galantuomo: dirà se ci ho azzeccato, se ho straveduto.
Comincio da Campagnola, a Valgatara. La riserva, il Caterina Zardini, non esce. C’è dunque il base soltanto. Che non è male, affatto. Naso di terra rossa, cassis e prugna. Bocca in corrispondenza. Niente muscolo. Beva fresca. Un po’ ruvido appare il tannino. Comunque si fa bere, eccome. Direi 84-85 centesimi.
Righetti (Gianluigi), a Pescantina, è nome oscuro, per me nuovo. Non ho ricordi d’altre sue bottiglie. Eppur l’Amarone m’ha fatto pensare. Chiarisco: non è tutt’oro. Forse all’olfatto ha cenni ossidativi e al palato si denunzia scomposto. Eppure vorrei reincontrarlo quand’avrà qualche mese di vetro. Ha bouquet vegetale. Ha bocca fresca e iodata, giustamente terrosa, un che di liquirizia, il frutto appassito. Mi spingerei a 85-86 su cento, premiandone il tradizionalissimo assetto. Saprà conservare freschezza?
Ecco Bertani (un big, un marchio storico) coll’Amarone Valpantena. Un po’ ostico invero, ma capace anche – capacissimo, azzarderei - di piacevol sorpresa se gli dai confidenza. Ha, questo 2002, naso di presenza ancora scarna. La bocca trova però ciliegia tonda e frutto sotto spirito e cioccolato bianco e una manciata di fiori macerati e un po’ di terra rossa. Tannini in equilibrio. Varrà la pena aspettarlo. Buono. Per me, è sugli 86-87 centesimi.
Ora Santi, Gruppo Italiano Vini. Nient’Amarone di punta: il Proemio non uscirà. L’Amarone di base è però una scoperta. Novità bella, bellissima. Non è Amarone ch’esploda: lo vedi già dal colore, che non è carico assai come in genere s’usa. Ha olfatto pulitissimo e fruttato e floreale. Bocca in corrispondenza, coll’aggiunta d’erba officinale, di rosmarino in primis. Non è potente, ma ha grand’eleganza e finezza e beva. Può valer, ora, 88-89 su cento.
Infine, Manara. I dodici che leggono sanno che apprezzo lo stile di quest’azienda mignon di San Floriano. Il 2001 è nella top 15 d’InternetGourmet, graduatoria di fine anno personalissima e mia, tutta mia. Temevo molto che il loro far Amarone scarno, giocato sulla finezza e non sul muscolo, avesse risentito delle magagne dell’annata. Fors’è vero il contrario. E cioè che il saper giocare la nuance, il dettaglio, è un’arma in più quando l’anno non ha grassezza affatto. Direi che fra i 2002 assaggiati quest’è il migliore, e pensare che è prova di botte soltanto, e non ancora bottiglia. È soprattutt’in bocca che s’esprime di già alla grande. Esile, in apparenza, com’è il solito suo, è Amarone di buon frutto, delicato e lunghissimo. Fra 88 e 90 su cento.

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