Angelo Peretti
Dicevo, cari i miei dodici lettori, che potremmo essere alla svolta per il Bardolino. Quando lo dicevo? Ohibò: nel pezzo prima di questo, quando parlavo della finezza bordolese. Vi sarete mica distratti?
Comunque lo riaffermo: s’è forse alla vigilia di qualcosa di nuovo, in riva al Garda orientale. I tempi son propizi. La gente che beve vino – non che degusta, che è un’altra cosa – cerca bottiglie che arrivino in fondo con piacevolezza e non costringano al mutuo. Che raccontino di frutto e territorio senza strafare, eppure sfoggiando classe e fattura quasi sartoriale. Un Bardolino, per esempio, se ‘sto rosso di riva gardense non si foss’imbastardito in troppi anni di successo turistico. Perché ci furon tempi che il Bardolino era vino di lignaggio. E dunque per dire del futuro - e ci arrivo - devo cominciare dal passato. Raccontando di quand’era un’altra cosa. Per cercar di capire cosa dovrà tornare a essere. E sta già diventando, in qualche caso. E in un paio soprattutto di fascinosi casi di rosso al femminile di cui più sotto racconto. Ma qualche riga ancora serve.
Allora, com’era ‘sto Bardolino del passato? Diverso. C’era chi lo spacciava per «roba francese». Dice proprio così il Perez, veronese, ai primi del Novecento: «Li Svizzeri li spacciarono nei loro hotels per roba francese». Constatazione confermata dal Sormani Moretti: «Negli alberghi della Svizzera, dopo gli ultimi regimi doganali pei vini francesi, molti ettolitri di vino Bardolino e di Garda, sonvi accolti bene sotto il nome lionese di Beaujolais». È vero: era frode alimentare. Ma se questa qui foss’anche la nostra chiave di volta? La similitudine transalpina, intendo, mica la frode.
Se questa fosse la chiave, dovremmo capire che cosa li faceva così Beaujolais-style. Ora, sentendo questo nome i miei dodici lettori non si confondano, e so che non lo fanno. Ma il problema è che Beaujolais è troppo nota per il suo noveau. Meno invece, molto meno, almeno qui da noi, per i bei rossi a base d’uve di gamay. Rossi buoni subito, spettacolari col medio affinamento. Rossi che poggiano sul frutto appagante e sulla fresca piacevolezza di beva e anche su una cert’eleganza, che si fa di nobile velluto passato il primo tempo di bottiglia. Del resto, Beaujolais è terra borgognona. Lì si coltiva gamay, altrove pinot noir. Ma ci son certi gamay che del pinot han l’armonia e la finezza: giuro.
Eccoci qui, dunque: armonia, finezza. La chiave di volta d’ogni vino che si faccia bere. E di vini che si faccian bere senz’impegnare alla follia il palato ce n’è soprattutto in due zone. Il bordolese, di cui ho detto nell’altr’articolo. E la Borgogna. Anche quella del Beaujolais, mica per forza del pinot. Certo, ci son fuoriclasse infiniti, e prezzi allucinanti, nell’una e nell’altra terra francese. Però c’è anche una marea di gran bel vino – accessibile ai più – che si fa bere con meno sussiego, eppure gratifica il naso e il palato e mette in ordine i pensieri e dà piacere. E dura in cantina ben più dei mesi – pochi – dei vinelli d’altre regioni (e Bardolino – sin’oggi - fra queste).
Diranno ora i dodici che leggono: ma ci sono ‘ste interpretazioni del Bardolino che possano reggere il passo? Domanda retorica: ho già detto di sì.
Ne cito due, femminine entrambe. Nel senso che son vini fatti e prim’ancora pensati e voluti da donne. Entrambi vini che chiedono tempo per maturare. Buoni a un anno dalla vendemmia. Buonissimi al second’anno. Già: Bardolino da bere maturo. E che pure rimane fragrante di frutto, e piacevolissimo di beva. Che ha concentrazione di fragola e lampone e ribes e ciliegia, e cenni d’erba officinale e spezia minuta e pur senz’ottundere palato e testa. Senza fumi d’alcol e bevuta masticatoria, come ci costringono oggi altre italiche zone. Senz’essere per forza – anzi, rifuggendone il disciplinare – Bardolino Superiore. L’avete inteso, ora, che c’è la svolta in riviera?
L’uno dei new Bardolino lo fa Matilde Poggi alle Fraghe, Cavaion Veronese, quasi dietro al casello dell’Autobrennero. Sullo spartiacque fremente di vento fra il Garda e la Valdadige. Giancarlo Zanolli, oste tra i più bravi del Baldo & del Garda (quello del Kus, a San Zeno di Montagna) in tarda primavera era interdetto. Il Bardolino 2004 delle Fraghe non gli andava a genio. Tropp’erbaceo, troppo chiuso. Mica l’esplosione di fragola del 2003. Gli dissi d’aver pazienza, ché si sarebbe aperto col tempo. Vini figli d’annate diverse, diversissime. Dunque differenti avevano da essere le storie. «Compra e metti via», l’assicurai, ché sennò quand’il vino fosse stato pronto da bere non n’avrebbe trovato più. Attorno a Natale me n’ha stappato, entusiasta, una boccia: «Pare pinot nero» m’ha osservato. Certo, l’ego mio n’ha avuta sazietà. E già: par vino di Borgogna. Eppure è Bardolino di collina. Da rese basse, da selezioni accurate, da vinificazioni attente. Da cura della vigna, da rispetto del terroir. Capace d’interpretare la stagione. Così ha da essere un buon vino. E un buon vino lo si deve aspettare: che s’apra con calma, che decida lui quando farsi bere. Adesso è un gioiellino. Che costa quattro soldi, com’è tipico della produzione bardolinista. Succoso di frutto, appagante, gratificante. Fresco d’erbe alpestri su una tessitura tannica minuta.
Altra donna, altra terra, altro Bardolino, altro gioiellino. Giovanna Tantini, Oliosi di Castelnuovo del Garda, morene meridionali del lago di Garda. Colline placide. Modesti dossi che si staccano dalla piana. Estremi lembi di ghiaie e limi e sassi tondi depositati dai ghiacci nei tempi dei tempi. Lei è vignajuola nuova. È pochi anni – quattro, mi pare, appena – che fa vino. Eppure ha idee chiare. Sfidanti mète. La sfida bardolinista l’ha voluta, cercata. Cocciuta. Sapendo ch’era difficile. Da taluni ritenuta impossibile. Ecco, se Matilde Poggi è il lato borgognone del new Bardolino, Giovanna Tantini ne è l’interprete bordolese. E mica per i vitigni, ché anche qui a dominare è la corvina. Piuttosto perché, come in terre di Bordeaux, i suoi son vini progettati per aprirsi tardi. Per finir tardi addirittura in bottiglia. Per uscire tardivamente sul mercato. Va in scena più d’un anno dopo la vendemmia, questo Bardolino. E ancora il vino è giovane e ha bisogno di tempo per concedersi. Ha mille ritrosie. Ma ha carattere vivo. Ora c’è in giro ancora il 2003, ed è da bere e ribere. Con frutto sodo e saziante. Polpa tanta, eppure la pienezza non sminuisce l’agilità scattante. Ché è rosso anche fresco di quella freschezza salina che danno i ciottoli di quelle basse colline. Personalità e bevibilità: la quadratura del cerchio.
Eccoli qui i new Bardolino. Entrambi cogli elogi dei vini che si fanno bere: fini, armonici, eleganti.
Son due new Bardolino, quelli da mano femmina. Altri ce n'è, ma questa è un’altra storia da narrare.
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