Angelo Peretti
Inutile che si dian tanto daffare e che s’insultino a ogn’ora quei due in tv, e sapete di chi parlo. Tanto io per chi voto il 9 aprile l’ho già deciso. Per Luigi Bortolazzi e Costanzo Compri. E pazienza se non saranno su nessuna lista. Li voto comunque, magari solo col pensiero, perché loro sì che sono concreti. Io voto per loro.
Chi siano il Bortolazzi e il Compri forse i miei dodici lettori non ce l’hanno presente. Ahimé, loro in tv ci son poco: qualche comparsata ogni tanto sulle emittenti locali. Son l’uno il presidente e l’altro il vice dell’associazione dei macellai veronesi. Insomma: due beccari. Il primo ha voce gutturale, stazza esuberante, lessico errabondo e bottega in Verona, via Marin Faliero (Faliero, Faliero, chi era costui? era doge veneziano). L’altro è più minuto, baffetti curati, poche parole, negozio a Buttapietra (Butapiéra, in dialetto, pianura veronese). Non so della loro posizione familiare: se abbiano moglie, figli, intendo. Fosse così, negli ultimi anni avranno probabilmente molto lasciato a desiderare in termini di doveri di padri e mariti. Impegnati com’erano, i due, a girare in lungo e in largo nella provincia scaligera - e anche fuori - a dimostrare che mangiar carne si può. In fondo, come gli altri due, quelli che si prendono a male parole ogni ora per il potere politico. Solo che questi due l’han fatto per mestiere (il loro), sì, ma anche per piacere (il nostro). Impegnandosi come forsennati a convincer la gente a tornare a metterla in tavola, ‘sta benedetta carne di vacca. Senza rischio di beccarsi morbi da mucca pazza. Senza spendere follie, ché tagli economici n’esistono tanti. Senza dubitar dell’origine: c’è tanta, tanta carne autoctona. Cavandone invece piacere, che poi è sentimento, guarda caso, carnale. Il tutto con la concretezza loro: mica parole, fatti. Cucinando e facendo assaggiare chissà quanti quintali di carne in piazze, vicoli, taverne, club del dopolavoro. Dovunque insomma fosse concessa udienza al verbo della ciccia.
Li ho rivisti, i due (i macellai, non gli altri due, che ormai son incubi mediatici), qualche sera fa a Santa Lucia, borgo di bassa collina del comune di Valeggio sul Mincio. Al ristorante Belvedere. Hanno invitato a cena – anfitrione l’amico Morello Pecchioli, responsabile della pagina del gusto de «L’Arena» - quattro tavolate. Una di logorroici politici, che quando parlano – perché parlano, oh se parlano – ci vorrebbe il timer come nei tornei di scacchi. Un’altra di giornalisti, razza com’è noto famelica. La terza d’amanti della lirica, cantanti e cantantesse, tutti o quasi di buona stazza., ché la carne non la rifuggono di certo. L’ultima di macellai, of course. Motivo del convito: festeggiare il ritorno sulla scena della bistecca con l’osso. Della fiorentina, se proprio la volete chiamar così. Dopo quattr’anni e nove mesi di bando per le fobie da morbo pazzerello. Paura in larga parte immotivata, com’è oggi per il pollo. Ma tale da mettere in ginocchio allevatori e beccai. Senza però che mai se ne sia trovata traccia vera in Italia, della bse, il morbo della vacca impazzita. Dunque, alla buon’ora, la bistecca non è più fuorilegge. Una resurrezione. Bortolazzi, Compri e i colleghi loro han voluto così festeggiare questa pagana pasqua. Con ragione.
Com’era dunque la bisteccona valeggiana? Buona, buonissima: mi credano e m’invidino i cari miei dodici lettori. Ma soprattutto, con un guizzo d’orgoglio patrio, vo’ a scrivere – e sottolineo – ch’era bistecca nostrana, veronese. Ché Verona è leader nella produzione di carne di qualità. Muovendo, con l’indotto, qualcosa – ha detto Claudio Valente, politico sì, ma di quelli che stanno sulla terra a coltivar campi e allevar bestie e sporcarsi insomma le mani - come mille miliardi delle vecchie lire (c’è l’euro, lo so, ma – l’ammetta il lettore - mica ci ragioniamo con la moneta unica: i conti li facciamo ancora convertendo in liretta).
Bravo il Bortolazzi (Luigi), bravo il Compri (Costanzo), bravi i sodali beccari. Io voto per loro. E se proprio non li trovo in lista (state certi: in lista non li trovo), vorrà dire che renderò omaggio all’amor loro con un piatto di ciccia nostrana.
A proposito di cena e di Santa Lucia e di ristorante Belvedere. Be’, lì, al Belvedere, regno di padron Romano Bressanelli, ci avevo fatto quella che ricordo come la cena più gratificante del 2005. E mi perdonino i tant’altri amici chef ed osti da cui ho passato comunque gran belle sere coi piedi sott’il tavolo. Ma il desinare del 2 di dicembre dell’anno passato è nella mia memoria gaudente. E fu mangiar di territorio, di tradizione. Spendendo poco e bene. N’ho scritto, s’avrete voglia di leggere il pezzo, sul numero 4 di Buffet, il periodico che ha per garante Edoardo Raspelli. Antipasto di succulenti salumi d’artigiana, locale produzione. Tortellini al burro soavissimi. Ghiotti bigoli col sugo di lepre: se non avessi ordinato di già il secondo, mi sarei concesso il bis. L’immancabile pollo ai ferri, vanto del ristorante. Filetto di cavallo di burrosa consistenza. Contorni già compresi, cott’e crudi, abbondanti, invitanti (patate fritte autentiche). Soffice tiramisù in bicchiere: da replica. Panna cotta al caffè da standing ovation. Il conto – un antipasto, un primo, un second’e un dolce, verdure e mezza boccia di vino - fa meno di 35 euro a testa. Il vino, sceglietelo del posto: ce n’è di buono. Ce n’è parecchio perfino – pare incredibile –in mezza bottiglia. Che volete di più?
Ma qui è meglio che qui chiuda, sennò mi tocca mettere anche quest’altro nome, il Bressanelli parón del Belvedere, òsto a Valéso, nell’elenco del voto d’aprile. E pazienza se neanche lui in lista ci sarà.
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