Angelo Peretti
Per me, la tecnica produttiva conta quel che conta. Senza offesa per agronomi ed enotecnici, m’interessa soprattutto che il vino esprima un terroir, il suo, e una personalità, quella del produttore. E che sia bevibile, of course. Il resto, il lavoro di vigna e di cantina, è sì importante, ma alla fin fine è un corollario, un insieme di pratiche che dovrebbero essere orientate a descrivere il legame fra persona e terroir. Tutto qui. Detto questo, eccomi a parlare di un Bardolino da agricoltura biologica. Con la premessa che ho fatto, che sia bio non m’importa più di tanto. Se la bottiglia non esprimesse qualcosa d’interessante, quel che c’è scritto in etichetta varrebbe zero. Ma qui c’è qualcosa che m’intriga. Soggetto: il Bardolino dei Poderi Oppi Pellegrini prodotto da Maddalena Pellegrini a Castion Veronese.
Lei, lady Maddalena, fa agricoltura biologica. Mica solo vino. Anche olio extravergine d’oliva e vacche della razza limousine. In un gran bel posto. Ha sessanta ettari di bosco, venticinque di pascolo e cinque e mezzo di vigne sparse qui e là. Ai piedi del Monte Baldo, alle spalle del lago di Garda. Nei dintorni della villa di famiglia, una delle più belle del territorio gardesano. Un tempo, nelle pertinenze del palazzo ci abitavano i mezzadri. Ora il magnifico edificio non è più luogo d’attività agricola: ci si fanno convegni e banchetti di nozze. Maddalena ha un cascinale poco lontano. Ci lavora col marito e un operaio moldavo. Struttura al minimo.
Fa, si diceva, un Bardolino. Ne ho bevuto, con qualche preconcetta riluttanza, l’annata 2004. Perché la versione 2003 non la ricordavo affatto bene: l’annata caldissima aveva surmaturato l’uva cuocendola, la quasi totale mancanza di solfiti – tipica della pratica bio – aveva contribuito a un’ossidazione precoce. Be’, il 2004 invece è piaciuto. Tanto che in tavola la bottiglia è finita in fretta, segno inequivocabile di piacevolezza.
Piaciuto perché è un Bardolino d’altri tempi. Di quelli che pensavo non esistessero neanche più. Mica un capolavoro. Anzi, quasi un vinello esilino, ma di straordinaria beva e singolare adesione ai canoni della più schietta tradizione. Intrigante nella sua candida, quasi ingenua semplicità. Bello come il sorriso di un bimbo.
L’uvaggio è quello tradizionale, con la corvina veronese e la rondinella a guidare le danze, ma anche buone percentuali di molinara e un poco di negrara. Le vigne sono un po’ a Castion e un po’ a Bardolino. A Castion c’è un vigneto nuovo nuovo e un altro con ceppi vecchissimi. In terra bardolinese la vigna, minuscola e giovane, è a Cortellina, che considero da sempre uno dei crû storici della denominazione, dalle potenzialità ancora del tutto inespresse.
I profumi sono quelli tipici del Bardolino tradizionale. Ci sono i piccoli frutto di bosco: la mora e il lampone. C’è la marasca sul caratteristico fondo speziato della corvina. In bocca, è sapido, con quelle particolari note “saline” che hanno sempre caratterizzato il Bardolino della tradizione. S’avvertono chiari i diversi apporti dei terroir d’origine. Le uve provenienti dal piccolo appezzamento di Cortelline imprimono classiche presenze fruttate di ciliegia e lampone, accompagnate da accenni floreali di ciclamino. Note che sono tutte di bella lunghezza. Le uve dei vigneti di Castion Veronese apportano invece le doti di vegetalità e la sottile speziatura (pepe) che hanno storicamente identificato l’entroterra fra il lago e il Baldo. La beva è favorita dall’esilità di corpo (11,5° di alcol appena: mica i muscoli iperconcentrati che sembrano una costante irrinunciabile del mondo enoico), sorretta da una nervosa e giovanile freschezza.
Insomma: è il tipico vino “da tutto pasto”. Da bevuta spensierata. Quello che accompagna la tavola senza alzare la voce. Da tòcco di pan biscotto con la soppressa casalìna. Da mensa quotidiana, mica da degustazione. Lo vedo col veronese bollito misto co la pearà. Ma anche e soprattutto con la cucina gardesana di pesce di lago. Me lo sono segnato: provarlo col risotto con la tinca. Alla prima occasione.
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