Angelo Peretti
È noto che la riconoscenza non è di questo mondo. E men che meno del mondo del vino. Per cui non mi sorprende quant’accade in terra di Lugana, ora che finalmente si sono assegnate le prime «stelle del Garda» nella disfida degustatoria delle «età del Lugana».
Di che cosa si tratti, lo lascio dire al comunicato stampa che ho ricevuto: «La scommessa chiamata “Le età del Lugana” lanciata alcuni anni orsono dal Consorzio voleva che una commissione di esperti giornalisti ne valutasse alcune annate confrontando le stesse e riconfermandole poi, l’anno successivo. Timidamente i produttori che si avvicinarono al primo “esperimento” furono pochi...» eccetera. Di fatto, si trattava di valutare una serie di Lugana, metter da parte quelli che sembrava avessero chance di migliorare nel tempo, riassaggiarli l’anno dopo e quello dopo ancora, e se per tre anni di fila davano esito favorevole, allora li si premiava con la stella della longevità. E i primi che han passato il test triennale son due Lugana del 2003: la Riserva del Lupo di Cà Lojera e il Molceo di Ottella. Buoni.
Ma adesso prendo l’incipit del comunicato stampa, che è questo: «Si è sempre definita “la scommessa” sulla longevità dei Lugana e, se di scommessa si trattava, ora, alla luce dell’evidenza, si può dire che la stessa sia stata vinta. Si, perché solo alcuni anni fa i Lugana tutelati dal Consorzio Tutela Lugana Doc vennero proposti ad un gruppo di giornalisti esperti del settore con la chiara intenzione di sfatare quella credenza che li voleva, essendo vini bianchi, non adatti ad un corretto e longevo affinamento. Il Lugana, si diceva e si credeva, va bevuto giovane e fresco, possibilmente d’annata. Fra i non credenti a questa volontà popolare il grande amico dei produttori di Lugana, Luigi Veronelli, incitava i produttori, sopratutto i giovani, a produrre il loro Lugana per poi dimenticarlo per qualche anno in cantina prima di commercializzarlo: “troverete grandi sorprese ed infinte soddisfazioni” diceva. Ed ancora una volta aveva ragione».
Giusto, giustissimo: Gino aveva ragione. Ma ce l’avevo certamente anch’io. Quando creai quest’occasione di confronto sulla longevità luganista, e Gino non c’entrava proprio.
Si sa, la riconoscenza non è di questo mondo, e neanche del mondo del vino. Ma visto che di come sia nata ‘sta faccenda non se ne dà cenno, voglio proprio togliermi lo sfizio (e già!) di mettere i puntini sulle i, e spiegare.
E dunque, il concorso delle «età del Lugana» venne di fatto concepito una sera a casa - e poi a cena, nel suo ristorante - di Igino Dal Cero (leggasi Cà dei Frati). L’anno prima avevo accettato la proposta di Paolo Fabiani (leggasi Tenuta Roveglia), allora presidente del Consorzio luganista - oggi c’è Francesco Montresor (leggasi Ottella) -, di rimettere in sesto il vecchio concorso della stella del Garda. Solo che agli assaggi m’annoiai parecchio, anche perché la formula con la degustazione prioritaria da parte degli enologici ci aveva tolto di mezzo qualche bel vino, giacché - pensate - l’avevan ritenuto poco «tipico» (ah, quanti misfatti lungo la strada della tipicità!). E insomma, facemmo passare meno vini di quanti ne prevedesse il regolamento. E poi spiegai le scelte, in una memorabile (per me, e per molti produttori, che ancora oggi me ne ricordano) relazione: troppo legno, troppa morbidezza, troppe ossidazioni, spiegai, un po’ rudemente magari.
La formula, dicevo, era oggettivamente vecchia, superata. E fra i meno convinti dell’operazione c’era Igino, che desiderava invece qualche cosa che fosse in grado di mettere in luce le prerogative del bianco di Lugana in termini di capacità di resistenza allo scorrere del tempo (e che belle bottiglie d’antan del Lugana I Frati ho potuto assaggiare!). E dunque, conversando, tirai fuori l’idea: che il pubblico giudicasse i vini dell’ultima annata in una sorta di concorso popolare, e che invece ai giornalisti venisse chiesto di scommettere, appunto, sulla longevità del vino, con ripetuto assaggio nel triennio. Insomma: c’è anche la mia firma su quest’operazione, vivaddìo. Ma nei comunicati non ne vedo traccia, ohibò. Ma capisco: la riconoscenza, eccetera.
Dico poi che comunque alle degustazioni del concorso delle «età del Lugana» ho partecipato solo il primo anno, per mia scelta, e dunque non ero presente né questa volta, né la precedente, e chi deve sapere il perché dell'assenza, lo sa, ma queste son faccende mie, che nulla tolgono al vino. E aggiungo che i due premiati, il Lupo e il Molceo, son davvero Lugana rappresentativi. E non avevo comunque grandi dubbi che sarebbero approdati al traguardo. Del resto, n’avevo già parlato nell’ottobre di due anni fa. E se comprensibilmente non volete rileggere il pezzo, mi limito a riportare qui sotto quant’avevo scritto allora sui due vini oggi vincenti.
In primis, la Riserva del Lupo 2003 di Cà Lojera: « Primo vini ad aver passato la selezione - dicevo - è il Lugana Riserva del Lupo 2003 di Cà Lojera. Per me, è un autentico fuoriclasse. Probabilmente uno dei migliori Lugana che mi sia mai stato dato d’assaggiare. L’ho già bevuto varie volte, e sempre mi si è confermato d’enorme carattere. Magari difficile, ora, da comprendere. Perché ancora chiuso, nervoso. Ma, a mio avviso, destinato a fascinoso futuro. È fatto in acciaio. Solo acciaio, niente legno. L’alcol, pur sostenuto, è quasi mascherato da una vivida freschezza, del tutto inusuale per la calda annata di cui è figlio. Emergono afrori d’agrumi (di limone, di pompelmo) e poi di citronella e d’erba di sfalcio. La vegetalità è a tutto tondo. La mineralità è lì che preme per uscir fuori. Il finale, lunghissimo, gioca sui toni della mandorla verde e della colorofilla. Lasciatelo riposare ancora, e vi darà soddisfazioni. Ci scommetto davvero». Scommessa vinta, dunque. E ne son lieto. E confermo: il miglior Lugana che ho bevuto fin qui (e garantisco che l’ho tastato spesso e lo tasto tuttora di frequente).
Ora, il Lugana Superiore Molceo 2003 di Ottella: «Poi - scrivevo allora -, il Lugana Molceo 2003 di Ottella. Siamo nella categoria dei vini affinati nel legno. E il Molceo si conferma ancora una gran bella espressione luganista. Denso, grasso, setoso, eppure anche citrino, rigoglioso di salvia. Il passaggio in botte quasi non l’avverti. Te ne accorgi solo per una vena vanigliata sottesa all’ampia struttura. Non dovrebbe aver proprio problemi a dipanarsi al meglio nel triennio che viene». E anche qui scommessa rivelatasi corretta. E son contento, ché i Montresor sanno il fatto loro, e lavorano bene, ed è bravo assai co’ bianchi Flavio Prà, che gli è consulente.
Ora, un altro commento. Qui sopra ho detto che entrambi i premiati, il Lupo e il Molceo, son Lugana rappresentativi. Rappresentano, intendo, le due scuole del pensiero luganista. Il primo, la Riserva del Lupo di Cà Lojera, è un vino fatto in acciaio, che nulla concede alla morbidezza, ma punta tutto su freschezza, e vegetalità, e mineralità. L’altro, il Molceo di Ottella, passa invece nel legno, e gioca sulla morbidezza polposa del frutto, su un velo di vanigliatura, sulla seduzione dolce. Riconosco, al Molceo di Ottella, gran piacevolezza. Ed è lo stile che oggi indubbiamente paga di più sul mercato. Lo stile più seguito dai produttori luganisti. Ma io - è noto - preferisco l’altra, di scuola. Quella che nulla concede alla morbidezza e alla dolcezza. Quella di Cà Lojera e del suo Lupo del 2003. Ché il Lugana è, per me - l’ho scritto più volte - rosso mascherato da bianco (mi prenderanno mica anche questa, di definizione, vero?), e guai se non tira fuori quella sua tagliente, ruvidosa anima che gli deriva dall’argille della Lugana, la terra che fu bosco e palude, prima di veder vigna. Ma siete sempre liberi di dirmi che sbaglio. O di non dire proprio niente, come fa il consorzio. Meno male che c’è almeno Gino, nelle citazioni. E certamente non ho dubbio alcuno ch’io valga non una, ma millanta volte meno di lui, e gloria alla sua memoria: ci mancherebbe.
Che dite? Che son permaloso? Sì, proprio vero: permalosissimo, l’ammetto. Ma vorrei veder voi, al posto mio, corbezzoli!
Post scriptum: l’escalamazione, corbezzoli!, non rientra propriamente nel mio bagaglio lessicale (che riconosco essere in genere più colorito e spesso figurativamente pertinente la fisiologia mascolina), ma me l’ha insegnata una certa persona, e la trovo appropriata, essendomi ripromesso di non eccedere, nello scritto.
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