Angelo Peretti
È una mania dei politici. Ogni tanto escono fuori con una loro «modesta proposta». Pensare che l’origine della definizione è satirica. È stato nel 1729 che Jonathan Swift ha pubblicato il suo pamphlet «A Modest Proposal: For Preventing the Children of Poor People in Ireland from Being a Burden to Their Parents or Country, and for Making Them Beneficial to the Public», che sta per «Una modesta proposta: per evitare che i figli degli Irlandesi poveri siano un peso per i loro genitori o per il Paese, e per renderli un bene pubblico». Il succo era questo: ci sono tanti, troppi figli di poveri che pesano sulle famiglie avvitandole in uno squallore sempre più profondo? La soluzione – scriveva Swift, intingendo la penna nel veleno di fronte all’ignavia dei politici - è semplice: prendete i fanciulli, fateli ingrassare e dateli da mangiare ai proprietari terrieri. Così non ci saranno più bimbi denutriti, i genitori potrebbero prendere dei bei soldi dalla loro vendita e i ricchi avrebbero sempre carne fresca sulle loro mense.
Ora, se dico che anch’io voglio fare una mia «modesta proposta», capisco bene il rischio che corro. Ma ho un duplice vantaggio: non faccio politica e non mi occupo di bambini. Il che mi permette d’usare quest’espressione con un po’ più di leggerezza.
La mia «proposta» riguarda i Chiaretti che si fanno in riva al Garda. I vini rosati di cui ho detto nel mio precedente intervento su InternetGourmet. Ed è «modesta», questa proposta, perché non ci metto moltissimo del mio. Qualcuno ne ha parlato molto prima di me. Decenni fa. E so comunque che è un’ipotesi debole e che pochi se ne faranno convinti. Ma non m’importa: ne parlo lo stesso. Cocciuto.
La «proposta» è dunque questa: aboliamo le attuali doc del Bardolino Chiaretto, del Garda Classico Chiaretto, del Riviera del Garda Bresciano Chiaretto, del Garda Colli Mantovani Chiaretto. E al loro posto facciamone una sola di denominazioni: il Chiaretto del Garda. Con delle sottozone geografiche per le diverse aree «vocate». Una doc tutta e solo per il rosato, dunque.
Guardate: non è una bizzarria. C’è un caso analogo, importante. In Francia. È l’aoc, l’appellation, di Tavel, a pochi chilometri da Avignone. Ebbene: quella denominazione prevede solo la tipologia rosè. E sono grandi rosè.
Dicevo: non è tutta farina del mio sacco. Ci aveva già provato tanti anni fa Zeffiro Bocci. Che era un giornalista del vino. Un pioniere. Trapiantato a Verona.
Anni et annorum fa, Bocci, combatté una battaglia contro la doc del Garda Bresciano. Contestava che solo sulla riva lombarda del Benaco si potesse unire il termine Garda col nome Chiaretto. Garda Bresciano Chiaretto. Chissà come si sarebbe imbufalito quand’è nata anche la doc del Garda Classico Chiaretto.
Proponeva, Zeffiro, di creare invece una denominazione del Chiaretto del Garda che valesse per tutto il lago. Una doc che servisse – e cito le sue parole – a «designare i vini che si ottengono attraverso la vinificazione in bianco, sulle due opposte sponde del lago, distinte, a loro volta, con le sottospecificazioni geografiche Riviera bresciana e Riviera veronese». Battaglia persa, dicevo. Battaglia però attualissima, che voglio, molto modestamente, rilanciare.
Perché oggi una doc del genere sarebbe vincente sul mercato. Il rosato piace, e secondo me piacerà sempre di più per un bel po’ di anni. Ma rosato è termine generico, che accomuna tante e tante aree vinicole diverse. C’è un’unica zona in Italia dove si usa una definizione alternativa: è il lago di Garda, dove il rosato si chiama Chiaretto. È insomma, questo, un termine identitario, consolidato. Facilmente riferibile al Benacus lacus.
Eppoi, anche il nome Garda suona bene. Soprattutto sui mercati dove è più forte – ed in crescita – il mercato dei rosati: la Germania, l’Inghilterra, la Scandinavia, solidi, storici bacini d’utenza del turismo gardesano.
Si dirà: ma sul Garda veronese il Chiaretto si fa con la Corvina e la Rondinella, mentre di là spopola il Groppello. E sono uve diverse. Lo so bene. Ma vince l’uva o vince il terroir? Per me, il terroir. E il terroir in questione è univoco: il Garda, la terra dei vignaioli chiarettisti.
Semmai, differenziare per sottozone è un vantaggio. Avrebbe, questa doc rosata benacense, una sua rive gauche e una sua rive droit. La riva sinistra e la riva destra. Come nel bordolese, la terra delle grandi aoc rossiste. Per inciso: la riva destra sarebbe quella lombarda, la sinistra quella veneta, ma mica per questioni politiche: le coste d’un fiume, o d’un lago, si identificano mettendosi con le spalle verso il punto in cui l’acqua ha origine, tutto qui. Il lago «scorre» da Torbole verso Peschiera. Mettendosi in favor di corrente, a destra abbiamo la costa bresciana, a sinistra quella veronese.
Ergo, potrebbe esser più facile affermare un vino dalla peculiarità unica, il Chiaretto, dalla denominazione uniforme, «del Garda», di forte tipicità e tradizione, ed anche di possibile diversificazione stilistico-ambientale.
So che sono solo fantasie. E che mi scontrerò con la dura realtà dei campanili. Durissima.
Ma sono convinto che sarebbe un’opportunità per i vigneron del Garda. Che i rosati - pardon, i Chiaretti - li san fare.
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