Angelo Peretti
Alla faccia di chi anche stavolta ha gridato alla vendemmia del secolo. Romano Dal Forno ha deciso: niente Amarone 2005. Lo ha annunciato il quotidiano «L’Arena». In una lunga intervista al vigneron di Cellore d’Illasi, fresco di nomina di «vignaiolo dell’anno» da parte di «Vini d’Italia», la guida targata Gambero Rosso & Slow Food. E vivaddio, questa sì che è una notizia. Perché è una svolta, in terra di Valpolicella. Super-Romano – quello che si occupa di vigne sul Monte Lodoletta, mica l’altro che ha in mente l’Ulivo – ha confessato a Giancarlo Beltrame: «Non ci sarà un Amarone Dal Forno 2005. La materia prima, cioè le uve, non mi consentono di mantenere la stessa qualità degli Amaroni degli altri anni e così salto un anno. È una scelta dolorosa, ma obbligata, perché non trovo un filo di sostegno per poterlo almeno ideologicamente immaginare. Invece, lavorando bene e molto nell’appassimento e in tutte le fasi successive, mi gioco una grande partita per fare un Valpolicella Superiore come Dio comanda, che non tema confronti con le mie annate precedenti».
I miei dieci lettori lo ricorderanno: l’avevo detto qualche settimana fa che tutte ‘ste dicerie che giravano sull’annata del secolo erano balle grosse come una casa. Con tutta l’acqua che ha fatto e un’estate senza sole come era anni che non se ne vedevano. Così è toccato a una delle grandi firme del vino veneto e italiano e insomma a un gran nome dell’arte bacchica spiegare come stanno le cose. Con un gesto estremo, dirompente: niente Amarone. Scelta coraggiosa, quella di Dal Forno. Anche in questo un caposcuola, in terra veneta.
Ebbene sì: chi è che ha detto che bisogna per forza farlo l’Amarone? Lo si produce se l’annata lo consente. Sennò, meglio destinare le uve e le energie a un buon-ottimo-formidabile Valpolicella. Scelta che altri, in terra valpolicellese, avrebbero dovuto avere il fegato di adottare già nella bastarda annata del 2002, quando grandine e pioggia avevano aperto larghi varchi nei vigneti. Invece s’era messa ad appassire uva a tutto spiano. Convinti che il mercato fosse pronto a bersi tutto. Che i prezzi avrebbero comunque continuato a salire. Salvo poi trovarsi col mercato che comincia a storcere il naso.
Già: è un po’ di anni che il tempo fa il ballerino. Che inguaia chi fa uva e vino. Il 2002 era stato ben più che problematico in molte parti d’Italia per via della tempesta e dell’acqua. Il caldo del 2003 aveva cotto l’uva. Il 2004 è stato buono per i bianchi (Soave e Lugana sono da metter via in cantina: daranno soddisfazioni per anni ed anni), ma per i rossi è ancora presto per dar giudizi. Il 2005, be’, questa è stata l’estate delle piogge torrenziali d’estate e poi delle pioggerelline continue e fastidiose man mano che s’avvicinava l’autunno, e delle nebbioline mattutine in fondovalle, e delle muffe, e del marciume. I migliori sono passati e ripassati in vigna a pulire i grappoli, a eliminare tutto quello che c’era da eliminare. A salvare il salvabile. Che poi non vuol dire che non si possano fare buoni vini. Buoni, mica capolavori, salvo eccezioni, che per fortuna ci son sempre. Nel frattempo però i comunicati si sono sprecati: grande annata, vendemmia del secolo. Ma va là. Speriamolo davvero che quella appena finita sia stata la vendemmia del secolo: che una vendemmia così – intendo -, questo secolo non ce la dia più.
Intanto, chi può, ché il prezzo - ahinoi - è proibitivo, si goda, di Dal Forno, l’Amarone 2000, che i tre bicchieri del Gambero e Slow Food se li è portati a casa con pieno merito. Ricco e concentrato come al solito, cupo come il babào, ma anche succoso e bello da bere. Gioiello d’equilibrio e di forza. Chapeau.
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