Angelo Peretti
Una verticale di Custoza è una rarità. Perché questo bianco delle colline moreniche orientali del Garda è sempre stato interpretato come un easy wine da bere entro l’estate. Salino, disimpegnato. Da aperitivo, da gòto al bar, più ancora che da pranzo. Ed ebbe, con questo stile e questa lettura, un successo travolgente al suo esordio, negli anni Settanta. E poi sembrò appannarsi. Per tornare oggidì a goder di discreta-buona salute.
Epperò si seguita ad aver dubbi su quel disciplinare troppo ampio, che vede ammessa una pletora d’uve: obbligo di trebbiano toscano (che lì è detto castelli romani) e garganega e tocai friulano (il trebbianello) eppoi possibili aggiunte di cortese (la bianca fernanda), malvasia toscana, riesling italico, pinot bianco, chardonnay. E che ha troppe tipologie: il Custoza, il Superiore, lo spumante, il passito.
Ora, senz’entrare nel merito delle discussioni circa la doc, ché sennò rischierei d’innescare una quaestio per la quale poche righe non bastano (io credo nel terroir, più che nel vitigno, ammesso che il terroir lo si rispetti per davvero), mi domando invece un’altra cosa, e cioè se davvero il Custoza sia il bianchetto dell’immaginario collettivo. E per dare un abbozzo di risposta, credo ci sia un’unica via: la verticale.
Ognuno ha le sue fisime. Io in fatto di vini ho quella dei bianchi che sanno invecchiare. Mi piacciono avanti cogli anni. Assumono un’eleganza che da giovani raramente riescono a sfoggiare. Epperò, ovvio, mica tutti ci arrivano. Ché solo le terre e le vigne e i vigneron più vocati sanno combinare quel che serve alla longevità in bottiglia. E dunque adoro i Riesling del Reno, che superano i decenni. E gli stranissimi bianchi del Jura. E, in Italia, ho bevuto gran cose ultradecenni a Soave e in Lugana.
Ordunque, quasi più che coi rossi, credo si debbano assaggiare, nei bianchi, varie annate di fila, in modo da capire se sotto il vestitino della festa, se dietro l’esuberanza adolescenziale, ci sia carattere autentico.
Per il Custoza, m’è capitato due sole volte d’affrontarne più annate insieme d’un unico vino. La prima fu tre-quattro anni fa, con pochissime annate. Ed ebbi confortanti riscontri. Ed ora la seconda chance me l’ha offerta, e l’ho subito accolta, Silvio Piona, che coi fratelli ha preso in mano l’azienda che porta il nome del papà Albino, ch’è fra i nomi «storici» del mondo bianchista di quelle plaghe gardesane, uomo di punta del Custoza fatto a Custoza, ché, com’è noto a chi ha studiato storia, il villaggio presso il quale si combatté due volte nelle guerre dell’indipendenza d’Italia, e due volte vinsero invece gli austriaci. Sommacampagna è il comune.
Dei Custoza targati Albino Piona ho testato (e meglio sarebbe dir tastato, alla veronese, che vuol dire assaggiato) il Campo del Selese, ch’era in origine – vendemmia ’99 – nato come una sorta di crû. Poi col 2001, rinnovato il disciplinare e introdotta la nuova tipologia, divenne un Superiore. E n’ho provate tutte le annate sin qui prodotte, ossia, in continuità, dal ’99 al 2004. Nel 2005 s’è preferito non farlo: troppa pioggia in vendemmia. Eppoi il 2006 è ancora a meditare nelle vasche, ma anche questo ho assaggiato, e ve ne dirò comunque l’esito attuale.
Aggiungo un’altra informazione che mi pare importante, e cioè che la vendemmia del ’99 è anche la prima che ha visto i Piona avvalersi d’un giovane consulente di valore: Flavio Prà, da Monteforte, terra del Soave. E di prove del suo valore ce ne sono in giro parecchie.
Devo poi dire delle uve e della cuvèe. Sempre, in ogni annata, il Campo del Selese lo si fa col 70 per cento di garganega, il 10 di trebbiano e il 20 di chardonnay. Fino al 2001 la garganega e il trebbiano erano in acciaio e lo chardonnay nella barrique. Dal 2002 s’è portato nel legno un 20 per cento di garganega, mentre tutto il resto, chardonnay compreso, è andato in acciaio.
Se ne fanno in tutto fra le 8 e le 12mila bottiglie per anno, a seconda di com’è andata la stagione. E costa, in cantina, ai privati, sugli 8 euro.
Dimenticavo: il nome. Si chiama Campo del Selese perché alla Palazzina, la campagna che Albino Piona ha nella frazioncina di San Rocco, da dove proviene in maggioranza l’uva di questo Custoza, c’è, appunto, il sélese, ossia l’aia di mattone su cui si batteva, un tempo, il frumento. Il campo vitato è sulla collinetta dietro al sélese.
Dunque, vediamo com’è andata.
Bianco di Custoza Campo del Selese 1999 Prima annata, e vino magrolino. Ancora giovanilmente bello il colore: chiaro, cristallino, con vena verdina. Ed ha bouquet finissimo di fieno secco e fiori appassiti, e nuance di mineralità intrigante. In bocca è tuttora fresco, ma mostra pure accenni di decadenza, di dolcezza ossidativa. In ogni caso: soddisfatto, ché era vino pensato, allora, per esser presto bevuto e finito.
Un lieto faccino :-)
Bianco di Custoza Campo del Selese 2000 Ahimé, nulla da fare: due bottiglie aperte, e due vini ossidati. Il tappo non ha tenuto.
Bianco di Custoza Superiore Campo del Selese 2001 Giallo, traversato da lampi verdi e dorati. Ha naso ampio di fiore essiccato di camomilla e di frutto giallo. E c’è, curiosa, la presenza del caco maturo. E ricordi citrini. La bocca è ampia, polposa, succosa di frutto. Ha vena d’agrumi (la buccia d’arancia candita). Bella freschezza, e insieme anche qualche traccia di miele d’acacia. E spezia. Durerà, bello, ancora.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Bianco di Custoza Superiore Campo del Selese 2002 Giallo dorato nella colorazione, ha naso subito chiuso, e minerale, epperò s’apre verso toni vegetali e lievemente speziati. La bocca ha frutti tropicali e ancora il caco. Eppoi la spezia dolce e traccia d’incenso. E c’è pienezza di frutto e burrosità borgognona. Magari non è il mio stile di bianco, ma c’è stoffa da vendere. E cresce alla distanza, nel bicchiere.
Due lieti faccini :-) :-)
Bianco di Custoza Superiore Campo del Selese 2003 Tu valla a capire l’annata calda del 2003. E la dovremo pur capire se è vero che ci stiamo tropicalizzando. Comunque, ci ha dato un Selese chiuso chiusissimo al naso e fruttato fruttatissimo in bocca. Vino sodo, polposo, nemanco troppo dolce come me lo sarei invece aspettato. E con vena minerale che gli dà equilibrio. Manca però un pochetto in tenuta.
Due lieti faccini :-) :-)
Bianco di Custoza Superiore Campo del Selese 2004 Magrolino, direi sulla scia del ’99, ma parecchio meglio definito nel carattere e nei dettagli. Giallo brillante, mica carico. Bel naso, floreale soprattutto: fior di camomilla e cenni d’anice e rosmarino abbozzato. Scriverei: Loira style. In bocca è ancora camomilla e pera e mela asprigna e cotogna e susina gialla. Annata la più elegante fra quelle provate in bottiglia.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Bianco di Custoza Superiore Campo del Selese 2006 (vasca) Ovvio: ci vuol cautela. A scriver d’un vino che ancora non è. In acciaio resterà sulle fecce fini almeno - è l’intenzione - sino alla prossima vendemmia, e poi decideranno. Me ne prenoto qualche bottiglia. Perché quella tensione, quella freschezza, quelle vene agrumate, quella pesca bianca che s’apre lenta mi fanno presagire cose buone. Incrociamo le dita.
In sintesi: già, il Custoza sa dar bianchi che hanno chance di tenuta. Lo dobbiamo rimetabolizzare. Preferisco, per mio conto, le annate più fresche. Ma anche quelle che sono sul frutto s’esprimono bene: vorrei ribere in futuro il 2002, ché mi piacerebbe capire dove andrà a finire quel suo mix di frutta e di spezia, e potrebbe dar sorprese. Epperò lo stile s’è comunque definito, pulito. E il 2006 potrebb’essere la quadratura del cerchio.
Ringrazio l’Albino Piona family per la chance che m’ha dato. Di capire qualcosa di più di quelle terre moreniche. E dei vini che se ne possono trarre.
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