Angelo Peretti
D’accordo, è un’operazione di marketing. Ma potrebb’essere il classico sasso lanciato nello stagno. L’acqua stagnante è quella della ristorazione, in crisi profonda, e del suo rapporto col vino. Il sasso potrebbe mostrarsi un macigno. Ché se la sperimentazione andasse a buon fine, se i bevitori mostrassero di gradire la formula, be’, ci si potrebbero aspettare reazioni a catena.
Ora, i miei dodici lettori si chiederanno di cosa stia parlando. Presto detto: dell’iniziativa d’un ristorante di Montichiari, nel Bresciano. Si chiama Corte Francesco. È della famiglia Piccinelli. Propone i vini al costo d’acquisto, maggiorati di cinque euro come «diritto di stappatura». Cinque euro fissi, che si tratti d’un vinello o d’una bottiglia blasonata. L’amico Gigi Del Pozzo, che di Corte Francesco fa il pr, parla nel suo comunicato stampa di «un’iniziativa che sicuramente incontrerà il favore del pubblico». Non so se sarà così: mica ho la sfera di cristallo. Glielo posso augurare. So solo che la cosa m’intriga, e mi piacerà seguirla, magari profittandone per andare a bere qualcuna delle bottiglie che ho visto in lista.
M’accorgo che devo dare qualche dettaglio in più. Bene: cominciamo col ristorante.
Corte Francesco è una struttura strana. È sul rettilineo che congiunge Montichiari a Lonato. Ha un parco immenso (dieci ettari: digli niente). A pian terreno, saloni da banchetti eleganti per centinaia di persone. Di sopra, un intimo ristorantino da poche decine di posti e una cucina che merita d’essere provata. Tra le pignatte del ristorante al piano superiore si muove un giovane e talentuoso chef, Stefano Accorsini. Ha fatto gavetta nel Bresciano, ma anche all’estero. Ha due linee di piatti: il territorio - come s’usa dire - rivisitato, e il mare. Provai la sua cucina un paio d’anni fa trovandola piuttosto interessante, ma ancora non del tutto sicura. Ora s’è fatto adulto. Sapori netti, precisi, lineari. Mano salda, personalità. Ci ho mangiato bene a Corte Francesco. Tornerò. I prezzi? Neppure proibitivi: dalla quarantina di euro del menù degustazione bresciano alla sessantina di quello ittico. Alla carta sui cinquanta. Tutto compreso: niente coperto. E servizio professionale.
I vini. In lista ci sono più di quattrocent’etichette. Mica male. Dentro, ci trovate di tutto un po’, e questo forse è un limite, ma m’hanno detto che rimetteranno mano all’impostazione di cantina (a proposito: le bottiglie stanno in una stanza seminterrata, col volto in mattoni, molto bella). I prezzi, si diceva, son quelli d’acquisto, cui vanno aggiunti cinque euro a bottiglia. Occhio, però: il ristorante compra quasi sempre da enoteche, non direttamente dai produttori. Quindi, il prezzo a cui s’approvigiona è quello già ricaricato dall’enoteca. La cosa riduce d’un bel po’ il vantaggio per noi che siamo i clienti finali, ma comunque la somma che ci si trova a sborsare è in genere - non sempre - al di sotto di quanto chiesto di solito nei ristoranti. In questo senso, trovare in lista il Barbaresco ’90 di Gaja a 81 euro (più 5 di stappatura, ovviamente) è del tutto corretto, come ha osservato qualche collega. Io dico però che bisogna andarci un po’ prudenti, perché non è sempre facile valutare i prezzi dei vini d’annate vecchie. Per esempio, i Sassicaia ‘94 e ‘96 a Corte Francesco son venduti a 105 euro più 5, che fanno 110, cifra che qualcuno ha reputato buona, ma che a me pare invece del tutto normale, visto che si tratta di annate piccoline e che gli stessi vini li ho trovati a listino in altri locali attorno ai 120 euro, con punte minime però di 100 e massime di 170 e più.
Secondo me, la carta enoica è da sondare con spirito d’esplorazione, ché ci sono vecchie bottiglie da non lasciarsi sfuggire. Quelle che in altri ristoranti non trovi. Rimaste lì magari anche casualmente. Ma ci sono, e van bevute prima che se n’accorgano altri. Un motivo più che valido, insieme - lo ripeto - alla piacevole cucina, per prender su la macchina e andare a Montichiari.
Quali sono le bottiglie che farei stappare se ci andassi stasera?
Per esempio sarei curioso di provare il Capitel Foscarino ’97 di Anselmi (all’epoca era ancora nella doc del Soave, prima del «gran rifiuto»), che ho visto a 10,50 più 5, ed è somma da pagare senza tentennamenti. Così pure il Batàr ’92 di Querciabella, uno degli archetipi dello chardonnay italiano affinato in barrique: a 20 più 5 lo giudico un affarone. Ma altrettanto fascinosa è la versione ’98 dello stesso vino: a suo tempo, ottenne i tre bicchieri dalla guida dei Vini d’Italia del Gambero Rosso e di Slow Food: a Corte Francesco lo si stappa a 28 più 5. Vale il viaggio il Pinot Bianco Pergole 2000 di Longariva (fu finalista per i tre bicchieri, sfiorandoli) offerto a 8 più 5. Ma è un piacere trovare anche il celebre Sauvignon St. Valentin 2004 della Cantina Produttori San Michele di Appiano a 16,50 più 5.
Fra i rossi comincerei chiedendo Le Zalte ’97 o ’98 della Cascina La Pertica (a 21 euro più 5) per vedere come ha tenuto il più premiato fra i cabernet del Garda. Non mi farei sfuggire il semisconosciuto Brunetto ’95 di Montecorno (a 12 più 5), un rebo gardesano del tutto sperimentale (oggi l’azienda è degli Avanzi). Tracannerei contento il Faye 2000 di Pojer e Sandri a 20 più 5 e così pure il Rosso dell’Abbazia ’96 di Serafini e Vidotto a 17 più 5 o il Faro ’98 di Palari a 25,50 più 5 (una terna di vini che furono insigniti dei tre bicchieri gamberisti). Ma è a buon prezzo anche il Pauillac ’93 di Lynch-Bages a 50,50 più 5, visto che oggi lo si trova in enoteca in Francia fra i 60 e i 70 euro, solo comprandolo però in cassa da sei bottiglie.
Per chi volesse provare, ecco il telefono di Corte Francesco: 030 9981585. Fatemi sapere, dopo.
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