Angelo Peretti
Leonello Letrari si definisce un «mezzosangue». Perché è nato in terra trentina, ma al confine con Verona: a Borghetto, comune di Avio, Valdadige, un tiro di schioppo da Brentino Belluno. Poi perché veronese lo è un po’ per via della nonna paterna, che era «taliàna» della Lessinia. E veronese è stato anche il suo apprendistato vinicolo, le basi da cui s’è formato come produttore. E che produttore: uno dei grandi rinnovatori dell’enologia nazionale, uno dei padri della spumantistica trentina.
I Letrari oggi hanno cantina a Rovereto. Lui, Leonello, ha chiesto a Nereo Pederzolli, giornalista della sede Rai di Trento, cantore appassionato e passionale della «trentinità» enogastronomica, di raccontare in un libro le sue «prime» cinquantacinque vendemmie. «Viti e vini di una vita» s’intitola il volume: centotrenta pagine di ricordi. La prima vendemmia è quella del 1950: Nello, come lo chiamano gli amici, è fresco di studi all’istituto agrario di San Michele all’Adige. Presta servizio quell’anno nei vigneti del marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga, alla tenuta San Leonardo di Avio, uno dei miti del vino italiano, allora come adesso. Poi, la voglia di misurarsi in cantina: eccolo ogni lunedì mattina in piazza Erbe, a Verona, per cercar occupazione da enologo. Il primo lavoro glielo dà un tal Melandri, che aveva affittato la cantina Poggi, ad Affi: 60 mila lire di stipendio «una cifra impensabile, quasi pazzesca». Dopo Affi, nuovo lavoro: a Negrar, alla casa vinicola Sartori, a confrontarsi coi vini di Valpolicella. Quindi il ritorno in Trentino, alla Bossi Fedrigotti, dove nel ’61 «inventa» il Fojaneghe rosso, primo taglio bordolese della provincia. Successivamente, ecco l’avventura spumantistica: fonda l’Equipe 5, per dimostrare che non di solo Ferrari vive Trento, ed è un altro successo. Infine, l’azienda di famiglia: Letrari, appunto. Oggi, un simbolo del vino trentino. «È semplicemente un uomo che ha capito come coniugare vite con vita» dice Pederzolli parlando di Nello Letrari. Mica cosa da poco.
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